Dimissione Conte, il premier sa di giocarsi tutto: «Ora capiremo se ero io l’obiettivo della crisi»

di Monica Guerzoni

ROMA- Rassegnato al passo indietro, consapevole che d’ora in avanti nulla sarà scontato e che il rischio di ritrovarsi fuori da Palazzo Chigi non è mai stato così alto. Giuseppe Conte salirà oggi al Quirinale con la testa ancora piena di dubbi e l’animo gonfio di rammarico, per una crisi che ritiene di aver ingiustamente subìto e per il dispiacere di dover arrestare la macchina del governo sui dossier cruciali, dalla pandemia al Recovery.

«È il momento della verità – ha preso atto il presidente del Consiglio, a quanto raccontano fonti di governo — Adesso capiremo se ad aver innescato le dimissioni delle ministre di Italia Viva siano state questioni di merito, o se l’obiettivo era un altro». Cioè far fuori lui, costringerlo al passo indietro e sostituirlo con un altro premier. La grande paura ha un nome e un cognome, Matteo Renzi. Ma i sospetti lambiscono anche il Pd e il Movimento. Perché i renziani hanno ripreso a far girare i nomi di Franceschini e Guerini come «papabili» successori. E perché la sofferta decisione di infilarsi nel vicolo stretto delle dimissioni con la speranza del reincarico, è stata innescata anche dal M5S. Durante gli ultimi, tempestosi vertici, Bonafede, Di Maio, Crimi e gli altri «big» 5 Stelle avrebbero in sostanza chiesto a Conte di sacrificarsi per salvare il capo delegazione e la storica linea giustizialista, totem del Movimento. È vero che il partito che a suo tempo lo incoronò premier per caso sta facendo, a parole, platealmente scudo a Conte, ma ai cronisti parlamentari non è sfuggita la formula con cui il ministro degli Esteri ha stoppato la conta sul Guardasigilli: «Quello su Bonafede è un voto sul governo».

E adesso? «Ora cambia tutto», ha ammesso la sua preoccupazione Conte, consapevole di essersi avventurato in un territorio sconosciuto, pieno di trappole e di insidie. Si entra in una partita nuova, di cui nessuno può prevedere la fine. Il «gioco» è allargare la maggioranza, costruire in un grappolo di ore una compagine politica che si impegni a sostenere il suo terzo governo, con uno spirito che si avvicini alla «salvezza nazionale». Senza la destra sovranista, ma con dentro pezzi di centro e magari di Forza Italia. I numeri al momento non ci sono. Conte stamattina si dimette sapendo che dovrà trovarsi una maggioranza. Un po’ come accadde a Pier Luigi Bersani nel 2013, quando scese dal Quirinale con un incarico «esplorativo» destinato al fallimento. Lui ovviamente spera di farcela e già pensa che i ministri della crisi, sanitaria ed economica, non dovranno cambiare: Gualtieri, Amendola, Speranza, Boccia…

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