Long-Covid: chi è più a rischio? Perché ci sono guariti che in realtà non guariscono

Anche l’età avanzata sembra essere un fattore di rischio così come essere donne o avere un indice di massa corporeo più alto. Un’altra indagine (anche questa non ancora sottoposta a revisione paritaria) su un campione di 200 pazienti che si sono ripresi da Covid-19 ha studiato come l’infezione da Sars-CoV-2 abbia colpito i diversi apparati. Il 25% dei pazienti ha subito danni multiorgano, il 32% al cuore, il 33% ai polmoni, il 12% ai reni. I pazienti in questo studio avevano un’età media di 44 anni, quindi facevano parte della popolazione giovane in età lavorativa. Solo il 18% del campione è stato ricoverato in ospedale e questo significa che il danno agli organi può verificarsi anche dopo un’infezione non grave.

La stanchezza: il sintomo post Covid più diffuso

Sono molte le ragioni per cui le persone possono manifestare sintomi mesi dopo una malattia virale durante una pandemia ma indagare su certi sintomi sarà più facile che per altri. Quando i sintomi indicano un organo specifico l’indagine sarà relativamente semplice perché sono possibili analisi specifiche sulla funzione polmonare se il problema è la dispnea, analisi su urine e plasma se il problema sono i reni, esame del flusso elettrico cardiaco se il problema sono le palpitazioni. Non sarà però facile indagare sulla stanchezza. Un recente studio su larga scala pubblicato su PlosOne ha dimostrato che l’affaticamento è un sintomo comune post Covid, si verifica in più della metà dei casi e non sembra correlato alla gravità della malattia. Inoltre, alcuni test hanno mostrato che i guariti non avevano livelli elevati di infiammazione, suggerendo che i sintomi di affaticamento non erano provocati dal persistere dell’infezione o da un’eccessiva risposta del sistema immunitario. «I fattori di rischio per i sintomi di lunga durata in questo studio includevano l’essere donne – in linea con lo studio COVID Symptom App – e, cosa interessante, avere una precedente diagnosi di ansia e depressione» commenta Frances Williams.

Quanto c’entrano gli ormoni?

«Mentre gli uomini sono esposti a un maggior rischio di sviluppare una forma grave di Covid-19, le donne sembrano essere più colpite dalla sindrome post-Covid ed è possibile che questo rifletta il loro stato ormonale diverso o mutevole» prosegue l’epidemiologa. « l recettore ACE2 che il coronavirus Sars-CoV-2 utilizza per legare le cellule umane e penetrare al loro interno è presente non solo sulla superficie delle cellule respiratorie, ma anche sulle cellule di molti organi che producono ormoni, tra cui la tiroide, le ghiandole surrenali e le ovaie. Essendo alcuni sintomi di Long Covid sovrapponibili a quelli della menopausa, i farmaci per la terapia ormonale sostitutiva potrebbero in tal senso rappresentare una strada per ridurre l’impatto della sindrome post-Covid». Si tratta di un’ipotesi. Studi clinici sono esenziali per determinare con precisione se questo approccio è sicuro ed efficace. Domande sono state presentate per avviare una ricerca.

CORRIERE.IT

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