Long-Covid: chi è più a rischio? Perché ci sono guariti che in realtà non guariscono

di Cristina Marrone

Per la maggior parte delle persone l’infezione da Sars-CoV-2 causa sintomi lievi che si risolvono in breve tempo.In molti casi non compaiono addirittura sintomi, meno frequentemente si sviluppano sindromi respiratorie acute. Ci sono però persone che accusano malesseri che persistono nel tempo (settimane o addirittura mesi dopo la guarigione virologica) indipendentemente dal fatto che siano state colpite da una forma grave o lieve di Covid-19. Queste problematiche che durano nel tempo sono chiamate sindromi «Long Covid» o «post Covid»: pazienti negativi al tampone ma in realtà mai guariti. Questa condizione non è ancora stata capita a fondo ma gli scienziati la stanno studiando. Chi è a più a rischio? Quanto è diffusa? Quali sono i suoi effetti?

I sintomi che non spariscono

Frances Williams, professoressa di epidemiologia genomica del King’s College di Londra sta indagando su questi temi e in un articolo pubblicato su The Conversation racconta attraverso gli studi che cosa la scienza ha scoperto finora. Sappiamo che mal di testa, affaticamento, mancanza di respiro e perdita di gusto e olfatto duratura sono i sintomi più diffusi legati al «Long Covid». Uno studio su 384 individui pubblicato lo scorso novembre su Thorax, rivista del British Medical Journal ha segnalato che più della metà dei pazienti ricoverati in ospedali per Covid-19 ha accusato mancanza di fiato (53%) e affaticamento (69%) a due mesi dalle dimissioni. Il 34% dei pazienti ha continuato ad avere tosse persistente, il 15% ha mostrato i primi segni di depressione, il 9% mostrava peggioramenti nelle radiografie al torace. In effetti un’analisi del King’s College di Londra condotta attraverso l’app Covid Symptom Study ha mostrato che il 13% delle persone ha mostrato sintomi oltre 28 giorni e il 4% ha avuto problemi di salute per oltre 56 giorni, il 2,3% per oltre tre mesi. «Coloro che utilizzano l’app tendono ad essere nella fascia più in forma della popolazione, con un interesse per le questioni di salute. Quindi è sorprendente che una percentuale così elevata manifesti ancora sintomi uno o due mesi dopo l’infezione iniziale perché in generale, queste non sono persone a rischio elevato» commenta l’epidemiologa.

I fattori di rischio

Ma quali sono i fattori di rischio per il «Long Covid»? Lo studio dei ricercatori del King’s College di Londra, non ancora sottoposto a revisione paritaria, evidenzia che i pazienti con almeno cinque sintomi nella prima settimana di malattia (tosse, affaticamento, mal di testa, diarrea, perdita dell’olfatto) sono maggiormente esposti alla sindrome «post Covid».

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