Divieti vessatori (e iniqui). La politica ha smarrito il buonsenso

di RAFFAELE MARMO

Già di suo la pandemia moltiplica disuguaglianze e distanze: tra persone, ceti sociali, categorie produttive, territori, comunità. E, dunque, uno dei compiti della mano pubblica, in questa devastante stagione, sarebbe o dovrebbe essere quello di colmare o, quantomeno, ridurre i divari prodotti dal virus e dalle sue conseguenze sanitarie ed economiche. E, invece, ci troviamo a fare i conti con decisioni del governo prive di senso, dettate da non si sa bene quale criterio e che hanno il solo effetto di amplificare artificiosamente le disparità: è il caso del divieto sugli spostamenti tra comuni (anche confinanti) a Natale e Capodanno ed è il caso delle chiusure dei centri commerciali nei fine settimana.

Non è in discussione, come è facile immaginare, il principio di precauzione e di prevenzione che sta alla base di tutte le misure per fermare e contenere il contagio: ci mancherebbe altro. Il problema, al contrario, nasce dall’irrazionalità e dalla implicita sperequazione di taluni limiti rispetto ad altri. Due esempi per rendersene conto. Sappiamo bene quanto siano delicate le festività per la diffusione del virus in relazione al possibile moltiplicarsi delle relazioni sociali e familiari: lo stop agli spostamenti serve a mitigare i rischi, dunque. Ma che differenza c’è tra l’andare a casa dei parenti che abitano in un altro quartiere di Roma, Milano, Bologna, Firenze e fare un’analoga visita ai parenti che risiedono nel piccolo comune confinante con il proprio paese? Nessuna differenza. Eppure, la prima cosa è possibile, la seconda è vietata. E questo nonostante la densità demografica per chilometro quadrato di una città sia mille volte superiore a quella di certe aree della provincia italiana. Il risultato, insomma, è anzi che si chiude di più laddove c’è già strutturalmente più isolamento.

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