Mes, cosa prevede la riforma? Le modifiche e il significato per l’Italia

Tutto questo meccanismo sarebbe anticipato di due anni all’inizio del 2022 se i regolatori – Commissione europea, Banca centrale europea e Comitato di risoluzione unico – valutano che nel complesso i sistemi bancari dei vari Paesi non sono troppo carichi di rischi. Questa precondizione è un simile a quella di una compagnia di assicurazione che richiede un’attestazione credibile dello stato di salute di un cliente prima di vendergli una certa polizza sulla vita a un certo prezzo di favore. Ma l’attestazione oggi c’è, le banche italiane e europee per ora non stanno troppo male. Dunque esistono le condizioni per procedere con il paracadute fin dal 2022 e così andare avanti con la messa in comune del rischio nell’Unione bancaria: tutte le decisioni avverrebbero in simultanea. Il prossimo passo sarà l’assicurazione comune sui depositi. Ma quest’ultimo passo è impensabile se prima non viene mosso questo primo passo, che solo un anno fa sembrava fuori portata.

2. Le «clausole di azione collettiva» sul debito

Le CACs, o clausole di azione collettiva sul debito, sono già inserite dal 2013 nei prospetti che fissano i termini contrattuali di tutti i bond emessi da Stati dell’area euro con maturità di un anno e oltre. Sono peraltro ormai pratica molto diffusa a livello internazionale. Queste clausole dicono in pratica una cosa sola: lo Stato emittente può modificare i termini del bond che ha emesso (per esempio, decide di rimborsarlo dopo o di rimborsarlo in parte, in sostanza decide una forma di default) se c’è l’approvazione di una maggioranza qualificata dei suoi creditori. L’iniziativa dev’essere sempre dello Stato in questione e presumibilmente viene presa solo quando quest’ultimo è in profonda crisi finanziaria, schiacciato dal proprio debito e incapace di trovare nuovi prestiti sul mercato per rimborsare regolarmente i vecchi. Le CACs essenzialmente servono a rendere il processo di default più ordinato, prevedibile e senza trattamenti di favore o discriminazioni verso singoli creditori.

Ma quale è la novità nella riforma del Mes? L’esperienza dei default degli Stati mostra che, quando questi avvengono, ci sono sempre fondi speculativi che comprano i bond coinvolti a valori frazionali (per esempio, cinque centesimi quando il valore teorico di rimborso regolare sarebbe un euro) e rifiutano l’offerta ristrutturata di rimborso da parte dei governi in crisi (per esempio, trenta cent invece di un euro). Sono i cosiddetti «holdout» (i «resistenti»), che non di rado fanno appello ai tribunali per ottenere pieni rimborsi anche molti anni più tardi. Per esempio, nel default dell’Argentina del 2005 i fondi speculativi «holdout» dopo dieci anni riuscirono a farsi rimborsare al 100% bond per venti miliardi di dollari (mentre molti piccoli risparmiatori italiani restarono quasi interamente bruciati). E nel default della Grecia del 2012 alcuni degli stessi «holdout» riuscirono a fare lo stesso con 6,5 miliardi di euro di titoli di Atene, mentre i cittadini italiani e europei contribuirono a pagarli tramite costosissimi salvataggi a ripetizione.

Per rendere le ristrutturazioni del debito meno soggette ai raid degli «holdout», la riforma del Mes introduce un meccanismo già raccomandato dal Fondo monetario internazionale: le votazioni singole, le cosiddette «Single-Limb CACs». Di che si tratta? In sostanza, per uno Stato che vuole ristrutturare il debito si introduce la possibilità di mettere la decisione sulla ristrutturazione con un unico voto di tutti i creditori. Non più dunque doppio voto come oggi («Double-Limb CACs») in cui prima votano i detentori di ogni singolo bond e poi votano insieme tutti i detentori di tutti i bond. Questo sistema a doppio voto dà ai fondi speculativi la possibilità di comprare a prezzi di saldo, per esempio, il 40% di un singolo bond e bloccare la decisione di ristrutturarlo, se essa necessita del 70% dei consensi. La mossa successiva degli «holdout» sarà poi andare in tribunale per farsi restituire il 100%. Ma questo significa che tutti gli altri creditori dovranno subire perdite ancora maggiori, proprio perché le risorse di quello Stato in default sono comunque limitate.

L’introduzione del voto unico di tutti creditori sulla proposta di ristrutturazione da parte di un governo mira a impedire le attività degli «holdout»: i più speculativi e i meno produttivi fra tutti i fondi di investimento, che agiscono da parassiti ai danni di tutti gli altri creditori e dei cittadini dello Stato in crisi. Bloccare la riforma del Mes, se l’Italia lo facesse, significherebbe fare gli interessi diretti dei fondi-avvoltoio. Ci si troverebbe al paradosso che l’ala più ostile ai mercati finanziari di M5S finirebbe per offrire un assist alla parte più speculativa del mercato internazionale: una vera e propria eterogenesi dei fini. È peraltro prevista la possibilità di aggregare nel voto i detentori di titoli in diversi sottogruppi, per rispettare proporzionalità e parità di trattamento tra creditori. Ma questa riforma non dà il Mes il potere di obbligare uno Stato al default, né lo rende più probabile. È solo un ombrello contro i fondi speculativi a tutela (anche) dei contribuenti e dei percettori di welfare di uno Stato in crisi. E degli altri Paesi Ue che dovranno aiutarlo.

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3. Le linee di credito precauzionali

Si tratta di linee di credito più leggere a titolo precauzionale se uno Stato minaccia di finire in difficoltà, ma non ha ancora perso l’accesso ai finanziamenti di mercato. Come sempre, la decisione di richiede il prestito del Mes spetta solo e soltanto al governo interessato. In teoria – anche se è poco plausibile – un governo a corto di liquidità per pagare pensioni e stipendi potrebbe anche decidere di chiedere un prestito alla Cina, al Fondo monetario internazionale o di fare default e non onorare i propri impegni finanziari (ma questo gli renderebbe impossibile trovare altri prestiti in futuro). Le linee «precauzionali» (che esistono già da anni) vengono naturalmente molto prima di questi scenari drammatici. La «Precautionary Conditioned Credit Line» e la «Enhanced Conditions Credit Line» del MES prevedono impegni di riforma molto limitati e specifici. Per esempio il Mes sanitario è una «Enhanced» («rafforzata») e pone come unica condizione che i fondi siano spesi in modo diretto o indiretto per la salute pubblica. L’accesso a queste linee di credito leggere è deciso dal consiglio d’amministrazione del MES (i ministri finanziari dell’area euro) e prevede anche una valutazione di giudizio complessivo, senza vincolanti rigidità matematiche o burocratiche. Ma altrettanto importante è sottolineare quello che nella riforma del Mes non c’è. O magari poteva esserci ma alla fine non è stato inserito.

4. Nessun «bail-in» del debito pubblico

Non c’è nella riforma del Mes alcun «bail-in» del debito pubblico, come inizialmente richiesto da molti in Germania o in Olanda. L’idea era che, prima di ricevere l’assistenza del Mes, uno Stato fosse obbligato in via preliminare a fare default sui suoi creditori esistenti. Questa proposta non è entrata nella riforma del Mes: si è valutato che avrebbe reso più nervosi gli investitori, alzato gli interessi di mercato sul debito pubblico dei Paesi fragili e reso una crisi più probabile. Ci sarà invece una valutazione preliminare di sostenibilità del debito ad opera della Commissione europea e dello stesso Mes. Ma questo cambia molto poco rispetto alla situazione attuale e alla normale pratica di organismi del genere, per esempio del Fondo monetario internazionale.

5. La Commissione Ue ultimo arbitro

Non c’è nella riforma del Mes un trasferimento dei compiti di sorveglianza di bilancio dalla Commissione europea (organismo comunitario, che decide a maggioranza) al consiglio del Mes (organismo intergovernativo, che decide con diritti di veto di ciascuno degli Stati sulle scelte più importanti). In sostanza Paesi «frugali» come Olanda o Finlandia non potranno divenire arbitri ultimi della misura in cui l’Italia rispetta o non rispetta le regole di bilancio. Lo sarà sempre la Commissione europea, più abituata al negoziato e ai compromessi. Anche questa richiesta era stata avanzata da ambienti dell’Europa del Nord, ma è stata respinta. Il direttore generale del Mes avrà il compito di preparare le decisioni sui singoli Paesi da parte del consiglio dell’ente. Ma questo cambia poco rispetto alla situazione attuale.

La realtà è che il fondo salvataggi, il Meccanismo europeo di stabilità, oggi appare un’istituzione in crisi e per il momento in cerca di una vocazione. In parte per colpa sua, in parte no, è un’istituzione impopolare. Nessuno fra i Paesi europei ha voluto chiedere la sua linea di credito sanitaria.
I proventi da interessi dei vecchi salvataggi di dieci anni fa (Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Cipro) si stanno esaurendo e il MES ha più di trecento specialisti a cui pagare lo stipendio ogni mese. Ora la riforma del MES fa ben poco per cambiare il quadro: lo migliora un po’ per il sistema dell’Unione bancaria; ma di certo non lo peggiora.

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