Ilaria Capua: «Covid, ecco le regole per proteggerci. La vita notturna va reinventata»

Dal punto di vista sanitario siamo a rischio?
«Vivo da quattro anni negli Stati Uniti e non conosco nel dettaglio la situazione italiana. Di certo però nell’autunno 2020 gli ospedali sono più preparati di quanto lo fossero nell’inverno 2019. A marzo poi c’è stata una situazione incomprensibile in Lombardia, tanto che ci siamo chiesti se circolasse un virus diverso. La risposta è no, in Lombardia c’è stata purtroppo una convergenza di fattori negativi e il Sistema sanitario ha mostrato delle grandi fragilità. Adesso le persone deboli sanno che si devono proteggere, le terapie intensive sono semivuote perché chi è a rischio sta in casa, porta sempre la mascherina. Molte signore hanno cambiato pettinatura, per evitare di andare ogni settimana dal parrucchiere a fare la piega o la tinta».

Qual è la cosa che la preoccupa di più?

Ilaria Capua è autrice del libro «Ti conosco mascherina»: la pandemia spiegata ai bambini
Ilaria Capua è autrice del libro «Ti conosco mascherina»: la pandemia spiegata ai bambini

«La cosiddetta pandemic fatigue: si verifica quando i pazienti, ma anche le strutture sanitarie e i decisori politici perdono energie, si immobilizzano. L’antidoto è concentrarsi sulle questioni davvero urgenti e necessarie e lasciare un po’ perdere il resto. Per esempio, per quanto riguarda i tamponi, bisogna snellire le procedure, evitare che si formino code nei punti-prelievo o che le persone aspettino giorni per avere il referto. Come singoli individui diamo la priorità a poche regole: spostarsi il meno possibile e sempre con la mascherina, mantenere la distanza di due metri, lavarsi e disinfettare le mani. Con l’unione di questi comportamenti siamo protetti, un po’ come la matrioska più piccola, racchiusa dentro le altre».

Ha senso secondo lei limitare la presenza nei locali e la movida notturna?
«Sì, sono situazioni in cui si tende a stare senza mascherina e a parlare ad alta voce. Ricordiamoci che urlare e cantare sono i modi migliori per diffondere il virus. La movida va reinventata, altrimenti il virus continuerà a circolare tra i giovani adulti: qualcuno di loro arriverà alla forma grave dell’infezione. Inoltre i giovani possono contagiare parenti, amici e colleghi più in là con gli anni. Per un po’ certe cose non si potranno fare, bisogna cercare soluzioni alternative, creative. La si può anche vedere sotto l’aspetto economico: un paziente in terapia intensiva costa al Sistema sanitario circa 100mila euro».

Come valuta il cocktail di anticorpi con cui è stato curato il presidente americano?
«Trump è guarito senza difficoltà, perché ha ricevuto una terapia che avrebbe fermato un treno in corsa (e che non comprende l’idrossiclorochina). Il virus è stato bloccato prima che entrasse in circolo nel sangue e potesse quindi colonizzare gli organi. Gli anticorpi monoclonali sono una versione sofisticata e di precisione della plasmaterapia: per fare un esempio bellico potremmo pensare a un missile terra-aria, paragonato a un esercito un po’ raffazzonato. I monoclonali avranno un momento di grandissima importanza in biomedicina, ma è necessario riuscire ad abbassare i costi di questi farmaci. Anche in Italia ci sono gruppi che li studiano, per esempio quelli di Rappuoli e Lanzavecchia».

Negli Stati Uniti ci sono, come in Italia, difficoltà con il vaccino antinfluenzale?
«No io l’ho fatto un mese e mezzo fa, in famiglia ci siamo vaccinati tutti. Negli Usa è gratuito, anzi una catena di supermercati dà un voucher di 10 dollari a chi si immunizza. In Italia il problema è che storicamente ci si vaccina poco contro l’influenza e quindi negli anni non c’è stata una richiesta tale da avere una fetta di mercato sufficiente. Le operazioni di sanità pubblica vanno fatte sul lungo periodo: se più persone si fossero vaccinate negli anni precedenti oggi avremmo un impatto economico minore sul Servizio sanitario (mi riferisco a chi ha complicanze o strascichi per l’influenza) e maggiore disponibilità di vaccini».

Che cosa ci può insegnare la pandemia?
«Voglio vedere il lato positivo di questa catastrofe. Le misure di sanità pubblica che abbiamo imparato non vanno dimenticate e questo deve essere un impegno della comunità scientifica: lavarsi le mani, vaccinarsi contro l’influenza. Abbiamo poi l’opportunità di ripensare alcuni grandi sistemi all’insegna della sostenibilità: mobilità, lavoro, salute. Dovremo creare ambienti di vita più resilienti».

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