Brigate rosse, il deposito segreto riemerge dal bosco: proiettili, volantini e divise

Digos in azione

I segnali delle apparecchiature e la perlustrazione palmo a palmo, con l’aiuto di una ruspa dei Vigili del fuoco e dei cani delle unità cinofile, hanno condotto gli investigatori della Digos di Roma ad aprire due pozzetti rivestiti di eternit, in altrettante radure in mezzo alle querce, distanti venti metri l’uno dall’altro.

Nel primo, custoditi in una busta di plastica, c’erano i documenti cartacei firmati con il simbolo della stella brigatista a cinque punte chiusa nel cerchio: uno scritto nel dicembre ’75 dai «compagni militanti detenuti» nel carcere di Torino; uno del comitato rivoluzionario toscano in data 2 giugno ’77, quando le Br spararono alle gambe di Indro Montanelli e altri nella campagna contro «i giornalisti di regime»; una scheda informativa sul leader democristiano Antonio Bisaglia, completa dell’indirizzo della casa di Rovigo «dove abita con la sorella», il nome dell’autista, i passaggi della sua carriera politica e gli incarichi ricoperti a partire dal 1954; uno schema intitolato «attuale organigramma del potere», che parte dal presidente del Consiglio e arriva al generale Carlo Alberto dalla Chiesa, all’epoca responsabile della sicurezza nelle carceri, passando per la magistratura. Molti fogli sono illeggibili o attaccati uno all’altro, e servirà il lavoro della Polizia scientifica per provare a separarli e vedere se ancora si può decifrare qualcosa tra ritagli di giornali e pubblicazioni di altro tipo. Assieme al calco in legno di una chiave, per aprire chissà quale porta.

Munizioni e artificieri

Dalla stessa buca, in mezzo all’acqua infiltratasi nel sottosuolo durante gli anni, saltano fuori varie scatole con centinaia di proiettili per armi lunghe, ossidati e arrugginiti, e involucri sigillati con lo scotch da pacchi. Per capire che cosa ci fosse dentro sono arrivati gli artificieri, che hanno analizzato il contenuto ai raggi X, riconosciuto altre cartucce e aperto i pacchetti. Si tratta di proiettili per pistole e fucili, calibro 7,65 e 308, conservati un po’ meglio grazie alla maggiore cura di chi li aveva riposti.

Tra i brandelli di una borsa di cuoio, forse da postino, ecco un timbro della motorizzazione civile, vecchi punzonatori per documenti, buste di plastica con altri reperti di difficile interpretazione. Nessuna arma, così come nell’altro pozzetto dissotterrato poco più avanti. Se nel primo il metal detector suonava a causa delle cartucce, qui è per via di una targa svizzera del Canton Ticino, risalente a chissà quando e finita chissà come nelle mani dei brigatisti. Era dentro un bidone con i resti di alcune divise: si distinguono una camicia militare, una tuta da benzinaio con il logo della «Fina», il nero della stoffa forse delle uniformi dei carabinieri (separato c’è anche un fregio con il simbolo dell’Arma), un giubbotto antiproiettile con placche da infilare negli appositi spazi, per proteggere i punti vitali.

Il vecchio covo

Tutto il materiale è stato repertato dagli agenti della polizia scientifica, per essere analizzato capo per capo, alla ricerca di tracce e indizi che possano far risalire con maggiore precisione all’epoca dell’interramento e magari ai brigatisti che all’epoca crearono e riempirono i nascondigli. In questa zona — a Vescovio, quindici chilometri più a nord nel 1979 venne scoperto un covo delle Br con pistole, mitra, munizioni, documenti e materiale per la prigione di un ostaggio. Chissà se questi due nascondigli, presumibilmente inviolati per oltre quarant’anni, sono collegati a quella base brigatista; e chissà se e quanti altri depositi nascosti dai terroristi sono ancora interrati, da queste parti e altrove. La ruspa dei pompieri e gli uomini della Digos hanno continuato a scavare ancora, in altri tratti limitrofi, ma senza successo. Le ricerche sono finite, l’indagine per provare a svelare il mistero su questi residuati da guerriglia urbana va avanti.

CORRIERE.IT

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