Brigate rosse, il deposito segreto riemerge dal bosco: proiettili, volantini e divise

di Giovanni Bianconi, inviato a Poggio Catino (Rieti)

Il segreto viene svelato dal fischio intermittente del metal detector, e dal braccio meccanico che scava tra sassi, terra e arbusti fino a scoprire una lastra di ferro diventata ruggine. Dalle viscere di un bosco nell’alto Lazio, nel cuore della Sabina, riemergono frammenti di storia del terrorismo italiano: documenti e volantini delle Brigate rosse, mangiati dal tempo e dall’umidità; munizioni e proiettili per pistole e mitragliatori; indumenti militari e giubbotti antiproiettile, targhe, timbri e altri reperti di difficile identificazione perché troppo deteriorati. È un deposito clandestino dell’organizzazione che più ha imperversato negli «anni di piombo», interrato da qualche militante quando ancora i brigatisti tentavano «l’attacco al cuore dello Stato»; i documenti leggibili si fermano al 1977, prima del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro.

Sono resti della lotta armata che ha insanguinato l’Italia nel secolo scorso, spuntati dal sottosuolo com’è accaduto in passato con i residuati bellici della Seconda guerra mondiale, o le armi dei partigiani durante e dopo la Resistenza. La polizia li ha trovati dopo aver ricevuto una segnalazione e cercato per quasi due giorni, riportando alla luce il materiale probabilmente spostato da qualche covo brigatista nelle vicinanze e occultato per essere recuperato a tempo debito. Ma quel tempo non è mai arrivato, e dopo più di quarant’anni era ancora lì, forse dimenticato pure da chi ce l’aveva nascosto; calpestato nel corso dei decenni da ignari cacciatori di animali e cercatori di funghi, amanti del trekking, villeggianti e abitanti del borgo antico di Poggio Catino e dintorni, durante le loro passeggiate in questa selva di querce.

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