L’inutile duello Nord-Sud

di Dario Di Vico

Il limite del dibattito che si è sviluppato in questi giorni attorno ai provvedimenti governativi pro-Sud e di converso alla questione Settentrionale è quello di osservare le dinamiche dell’economia reale italiana tramite una sorta di bolla autoreferenziale. E di sottovalutare in toto le tendenze dell’ integrazione economica sovranazionale, come ad esempio i processi di «aggiustamento» della globalizzazione nel dopo Covid. Eppure basterebbe volgere l’attenzione a una notizia dei giorni scorsi, alle ricadute per l’indotto torinese delle city car per la scelta della piattaforma produttiva francese nell’ambito della fusione Fca-Psa, per rendersi conto che non si possa affatto prescindere da come si muoveranno le grandi catene del valore e la divisione nazionale del lavoro che determinano. È chiaro che per la diversa rilevanza dell’insediamento manifatturiero a Nord e a Sud l’effetto top down di cui sopra è assai differente ma è comunque una pia illusione pensare di poter rilanciare il Sud astraendosi da ciò che avviene a monte nella riorganizzazione produttiva europea. A meno di pensare che possano sorgere sotto Roma attività già in partenza fuori mercato.

Questa chiave di lettura sembra essere sottovalutata dalla corrente neo-meridionalista che pure ha saputo conquistare l’egemonia dentro il Pd e in ambiti privilegiati della società civile e che finisce per interpretare il ruolo dell’Europa come mero erogatore di fondi. Un bancomat, non uno spazio economico integrato.

Si finisce così per impostare il dibattito esclusivamente sul tema «quanto distribuire al Nord e quanto al Sud», si coltiva l’idea di risolvere il conflitto per via lobbistica e si rinuncia a ricollocare lo storico dualismo italiano nel nuovo contesto continentale. È evidente che dietro le decisioni di mutualizzazione del debito che sono state prese dal nocciolo duro dell’Europa comunitaria non c’è solo la chiaroveggenza di leader politici come Angela Merkel e Emmanuel Macron ma anche un orientamento più complessivo delle classi dirigenti renane, testimoniato dalle prese di posizione «aperte» assunte più volte dalle confindustrie tedesca e francese. L’Italia è un Paese di consumatori evoluti e i grandi player europei hanno bisogno di avere un forte mercato domestico, pena caricarsi di un ulteriore handicap nella competizione con i capitalismi politici di Usa e Cina.

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