“Libano, un Paese zombie. Il porto distrutto è la metafora”

di LORENZO BIANCHI

“Mi chiede quale potrebbe essere il futuro del Libano? Per me è un Paese finito“. Sono parole di Misbah al Ahdab, 58 anni, tre figli, uno dei capofila della rivoluzione dei cedri che nel 2005 riuscì a liberare il Libano dall’occupazione dei siriani. All’epoca fu eletto in Parlamento. Ci rimase fino al 2009. Adesso è un’autorevole voce critica del Paese dei cedri, un indipendente che non fa sconti al cartello di partiti al governo guidati dagli Hezbollah, fedeli alleati dell’Iran, dagli sciiti di Amal e dai cristiani maroniti del Movimento patrioti liberi. “Abbiamo avuto – argomenta – diverse occasioni nelle quali ci sono stati concessi prestiti. Il sostegno economico risale agli anni Novanta. Poi però dai primi anni Duemila è cominciata la contrapposizione con Israele. Così i debiti sono rimasti intatti. I soldi sono andati alle milizie protagoniste della guerra civile che sono rimaste al potere. Nel 2005 avevamo sperato di costruire un nuovo Libano”.

Invece che cosa è successo?

“Gli Hezbollah si sono sostituiti ai siriani nel ruolo di protettori dei politici corrotti”.

L’ultima riunione dei Paesi donatori è stata a Parigi nel 2018. Beirut ha ricevuto 11 miliardi di dollari.

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