Beirut conta i morti e chiede verità Ospedali al collasso «Come in guerra»

Le squadre di soccorso hanno estratto 135 corpi dalle macerie. Si stimano circa 5.000 feriti. Pare che decine e decine di abitanti manchino ancora all’appello. Sono trecentomila gli sfollati. «Gli ospedali non ce la fanno. Molti feriti gravi hanno dovuto attendere in strada anche cinque ore prima di essere visitati da un medico. La struttura sanitaria nazionale è collassata. Per ora siamo ancora tutti sconvolti. Si contano i danni. Ma presto il Paese intero potrebbe entrare in una situazione prerivoluzionaria di contestazione radicale dell’intera classe politica», ci racconta Michelle Georgiu, commentatore per il quotidiano in lingua franceseL’Orient de Jour.

Il premier Hassan Diab ha proclamato tre giorni di lutto nazionale e due settimane di emergenza rossa. Però agli occhi di tanti paiono misure tardive, patetici tentativi di coprire inefficienze strutturali gravissime. E destano pochi applausi gli arresti di alcuni funzionari che avevano l’incarico di sorvegliare i materiali pericolosi ammassati nella zona del porto. Pare avessero avuto l’ordine di rimuovere le 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio causa della tragedia. Ma nessuno aveva fatto nulla. Come mai? Intanto sui social media crescono le teorie più disparate. Sebbene la dinamica dei fatti lasci credere si sia trattato di un incidente, la pista dell’attentato resta aperta. Ieri l’ha ribadita tra gli altri il partito «Futuro», diretto da Saad Hariri figlio dell’ex premier Rafiq Hariri, assassinato nel febbraio 2005. «Privilegiamo l’ipotesi dolosa. Chiediamo chiarezza», rendono noto. Lascia perplessi la coincidenza. Venerdì il tribunale internazionale dell’Aja, voluto dall’Onu per investigare la morte di Hariri, avrebbe dovuto rendere finalmente noto il verdetto. Ma ora è stato rinviato al 18 agosto. «Qualcuno era interessato a distrarre l’opinione pubblica con l’esplosione?», si chiedono negli ambienti che contrastano il partito sciita pro-iraniano dell’Hezbollah e temono il ritorno dell’influenza politica del regime siriano di Assad.

Nel pomeriggio il presidente cristiano Michel Aoun ha effettuato un rapido tour nelle zone disastrate in compagnia del capo di Stato maggiore. «Non troviamo le parole per descrivere questa apocalisse. Il cuore di Beirut è devastato. Faremo di tutto per investigare ciò che è accaduto e avverrà nel modo più rapido possibile», ha promesso.

Ciò che si sta muovendo in fretta è nel frattempo la catena della solidarietà internazionale. Unico intoppo, la burocrazia libanese e le misure contro il Coronavirus. La Croce Rossa internazionale e la Farnesina, tra i tanti incontrano difficoltà nel far arrivare le squadre di volontari della protezione civile a cui è teoricamente richiesto il certificato negativo al Covid e 48 ore di quarantena all’arrivo a Beirut, previo un secondo tampone all’aeroporto. Oggi arriva il presidente francese Macron con due aerei carichi di aiuti umanitari e 55 volontari. Arriveranno anche squadre tedesche, cipriote, britanniche e dal mondo arabo.

CORRIERE.IT

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