Beirut conta i morti e chiede verità Ospedali al collasso «Come in guerra»

di Lorenzo Cremonesi

Scende il buio su Beirut in lutto e il nero è più scuro della pece. Già la crisi economica aveva tagliato l’energia elettrica, ridotta a poche ore quotidiane. Ma adesso anche i generatori non funzionano più. Lo spostamento d’aria ha tagliato i fili elettrici, gettato calcinacci sulle strade bloccando l’arrivo del gasolio, ridotto in frantumi porte e finestre anche a decine di chilometri dall’epicentro. Il governo libanese l’ha dichiarata «città disastrata». Per tanti abitanti è come essere tornati ai momenti più gravi della guerra civile tra il 1975 e 1990. «Ma peggio. Molto peggio. In quindici anni di guerra non avevamo mai visto una devastazione tanto massiccia. Cinque minuti di catastrofe hanno superato qualsiasi precedente, pur se gravissimo», dicono all’unisono la dozzina di persone e conoscenti che siamo riusciti a contattare.

A poco più di 24 ore dalle due tragiche esplosioni di martedì pomeriggio tra i capannoni nella zona del porto, ieri in serata Beirut viveva ancora uno stato di profondo shock, greve e diffuso come il leggero strato di polvere che la deflagrazione ha sparso tutto attorno, assieme ad un fastidioso odore di agenti chimici che fanno arrossare gli occhi e irritano i bronchi.

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