Intervista a Gianni Cuperlo: “Le Commissioni? Il Tempio si è riempito di mercanti”

Cuperlo, per le sue abitudini lei ha scritto un post quasi telegrafico dove commentando le nomine ai vertici delle commissioni parlamentari ha chiesto alla politica di non scomodare più la parola meritocrazia. Con chi ce l’aveva?

Con un metodo e una concezione della politica che antepongono il potere a ogni altra cosa.

Effettivamente è andato in scena un suk. Critica anche il suo partito?

No, mi lasci dire. Non mi strappo i capelli perché si discute su questo o quel nome, la politica è anche direzione o se preferisce potere. Ciò che trovo grave è la modalità che in generale nel nostro paese pervade la selezione delle classi dirigenti in ogni contesto e livello. So che la decadenza viene da lontano, almeno da quando a destra si è imposto un partito clonato da un’azienda, ma questi sono problemi degli altri. Il punto è se una logica di affiliazione condiziona la nostra parte. Questo produce i guasti che abbiamo sotto gli occhi.

Posso intuirli, ma me li indica per nome e cognome?

Non si parte dal merito, dalle competenze, dall’esperienza, insomma dalla politica, ma dalla fedeltà. Non conta chi sei, cosa hai fatto, ciò che pensi. Conta chi ti battezza. Il percorso dei singoli prescinde da una identità frutto del confronto nella comunità. La sorte individuale si aggancia alla parabola di un capofila, a volte un capobastone, e alla sua capacità contrattuale nell’occupare il più alto numero di caselle e posti, ma così la politica si estingue e tutto si riduce a rapporti di forza e prove muscolari.

Usiamo una parola impegnativa: moralità.

Usiamola. La nuova questione morale può incunearsi qui. Non c’entra il settimo comandamento, quello diamolo per scontato. C’entra la deformazione dei partiti in assenza di culture consolidate.

Va bene, potrei dirle nulla di nuovo, ma perché gridare “al lupo” solo ora?

Veramente sono cose che alcuni di noi cercano di sollevare da tempo.

Evidentemente con scarsi risultati.

Guardi, non è che non veda le eccezioni virtuose che ci sono, ma è il quadro d’insieme che mi preoccupa. Dalla formazione del governo alla compilazione delle liste sino alla scelta di molti dirigenti, la prassi che si vorrebbe imporre porta con sé il limite di una lunga tradizione italica che lei conosce bene e si chiama trasformismo.

Abbia pazienza Cuperlo, ma se questa è la fotografia forse qualche domanda lei dovrebbe porsela e soprattutto dovrebbe porla al suo Segretario.

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