Carabinieri di Piacenza, Pietro Senaldi si schiera con l’Arma: “Vietato generalizzare. Non si getta il bimbo con l’acqua sporca”

Pietro Senaldi

Non bastano sei pecore nere per fare neri tutti i carabinieri. Il nostro Filippo Facci ritiene che il titolo di apertura di Libero di ieri, «La dolce vita dei carabinieri indigna (troppo) gli italiani – Processo all’Arma», sia assolutorio nei confronti delle malefatte compiute a Piacenza dall’appuntato Giuseppe Montella, cugino del fino a pochi giorni fa più noto calciatore Vincenzo, e della sua banda in divisa. Non è così. I reati di cui sono accusati i militari – spaccio, torture, arresti arbitrari, ricettazione, estorsione, abuso d’ufficio – sono gravissimi, ci fanno orrore e non chiediamo sconti. Lo sconcerto e la delusione dei cittadini nel vedere delinquere come gangster alcuni membri della Benemerita, con questo termine viene normalmente indicata l’Arma, è condivisibile e legittimo. Quando ammoniamo gli italiani a non indignarsi troppo è perché vorremmo evitare che, sulla scorta delle deplorevoli gesta di Montella e dei suoi commilitoni, si inneschi un’isteria di massa simile a quella scoppiata negli Stati Uniti all’indomani della barbara uccisione del nero George Floyd da parte di un poliziotto del Minnesota. Oltre Oceano le proteste sono sfociate nell’abbattimento delle statue di Cristoforo Colombo e addirittura nella disposizione della Associated Press ai propri giornalisti di scrivere nei loro articoli Neri con la maiuscola e bianchi con la minuscola. Per settimane chi metteva a ferro e fuoco le città è stato dipinto come nel giusto e la polizia che cercava di impedirlo è stata criminalizzata, con conseguenze sociali devastanti.

Nel nostro Paese, da sempre, le divise vengono collegate all’ordine e quindi alla destra. Prima della guerra, gli uomini con le bande rosse sui pantaloni si chiamavano Carabinieri del re. E già si vede da parte del mondo progressista un preoccupante processo mediatico per cui si attaccano giustamente i reati commessi dai delinquenti in uniforme di Piacenza per mettere in discussione tutto il corpo, quindi lo Stato che gli conferisce potere e da qui le leggi, l’ordine e la visione tipica del centrodestra di un Paese fondato sul diritto e la sicurezza. Se chi deve garantire il rispetto delle norme è il primo a violarle, allora è valida ogni cosa e chiunque è autorizzato a delinquere. Questa è la conclusione alla quale inevitabilmente approdano i ragionamenti di chi approfitta delle miserie di Montella per mettere alla sbarra un’intera categoria. Ma noi di Libero non ci stiamo. Conosciamo il valore dell’Arma e la sua storia. Sei carabinieri, ma fossero anche sessanta, che si comportano da criminali non bastano per sporcare la divisa agli altri 110mila che onorano il Corpo tutti i giorni con il loro lavoro. Pur nella sua meschinità, la vicenda della banda della caserma Levante di Piacenza ha un aspetto confortante. È stato un carabiniere a denunciare i colleghi e i vertici della Benemerita hanno immediatamente rimosso tre capi dei militari coinvolti nello scandalo, anche se non è affatto detto che gli si possa muovere qualche colpa. Questo significa che l’Arma è sana e ha in sé gli anticorpi per espellere i virus che ogni tanto si sviluppano al suo interno. Nel caso di specie, a Piacenza si sono avvicendati tre capi in tre anni. Le vicende criminali sono iniziate nel 2017 ma il responsabile della caserma ha lasciato nel 2018, senza quindi avere tempo di rendersi conto di quanto stava accadendo.

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