Quei consigli inascoltati del Quirinale
Messaggi ne sono stati consegnati parecchi. E, con essi, suggerimenti, consigli, anche quando non richiesti. Anzi, nelle forme più riservate possibile, ultimamente si sono intensificati. Perché, di questi tempi, funziona così. Se a Sergio Mattarella venisse mai in mente di fare un’uscita pubblica su questo o quel tema dando un “titolo”, come si dice in gergo, rischierebbe di produrre l’effetto opposto in un’epoca in cui la comunicazione è sostitutiva della politica e un po’ tutti i leader populisti, dal premier giù pe’ li rami, sono piuttosto gelosi del centro della scena.
Però, al Quirinale non sono mancati e non mancano i modi per far sì che il famoso messaggio in bottiglia arrivi sulla sponda di Palazzo Chigi. Da quelle parti non c’è solo Rocco Casalino, ma funzionari, capi delle segreteria, capi di gabinetto che hanno un’antica consuetudine istituzionale con Ugo Zampetti, la cui sapienza è un patrimonio della Repubblica, capace di ottenere ascolto anche col mutare delle stagioni politiche. È chiaro il tentativo posto in essere di una discreta moral suasion, indirizzare senza intervenire, con la fatica di chi, sempre più spesso, percepisce, in un continuo accavallarsi di nodi che non si sciolgono, che l’inquilino di palazzo Chigi è disposto ad ascoltare, ma fino a un certo punto.
Chi ha una certa consuetudine col Colle ha registrato, complice anche la vicenda di Autostrade, un sentimento di crescente preoccupazione di Mattarella, ai limiti dell’incredulità per come la questione è gestita: l’uscita moralistica del premier, senza un’adeguata preparazione politica, il rischio di un contenzioso decennale che può costare alle casse dello Stato diversi miliardi, il problema del futuro dei settemila dipendenti e i potenziali danni per i risparmiatori. Raccontare la “preoccupazione” del Quirinale può sembrare quasi una formula di rito, perché chi vigila è preoccupato per definizione, soprattutto in tempi come questi.
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