Lo sguardo (attento) dal ponte

di   Ferruccio de Bortoli

Nei primi giorni di agosto, a quasi due anni dal crollo che causò 43 vittime, verrà inaugurato a Genova il nuovo ponte sul Polcevera. Nel rispetto delle famiglie e del dolore di una città, sarebbe preferibile non vi fosse un’altra inutile passerella. L’opera è bellissima. La ricostruzione è un esempio della grande qualità del lavoro italiano. La gestione commissariale del sindaco, Marco Bucci, una prova di efficienza organizzativa. Non c’è dubbio che sia un modello. Non sappiamo però quanto replicabile. I costi sono stati elevati. Per alcuni quasi il doppio. Sarà giusto rifletterci con un auspicabile sforzo di trasparenza.

Autostrade per l’Italia (Aspi) ha formalizzato l’ultima proposta al governo per scongiurare la revoca della concessione. Il consiglio dei ministri si riunirà martedì per decidere. La questione spacca la maggioranza. I Cinque Stelle sono determinati a estromettere definitivamente la controllata di Atlantia (nella quale i Benetton hanno il 30 per cento) dalla gestione di circa tremila chilometri di autostrade, specie dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha giudicato «non illegittima» l’esclusione del gruppo dalla ricostruzione dell’ex ponte Morandi. Lo scandalo degli infiniti ingorghi di questi ultimi giorni, dovuti a tardivi lavori di manutenzione nelle gallerie liguri, ha suscitato ulteriori e fondati risentimenti nei confronti del gestore autostradale. La responsabilità dei controlli è passata anni fa dall’Anas al ministero delle Infrastrutture. Una vigilanza inefficiente e per certi versi «catturata» dall’ingombrante e spregiudicato vigilato.

Da quanto si sa — e come ricostruisce puntualmente in queste pagine Fabio Savelli — Autostrade ha avanzato una proposta vicina alle attese dell’esecutivo. Il risarcimento salirebbe a 3,4 miliardi e l’adesione al nuovo sistema tariffario dell’Autorità di regolazione dei trasporti (Art) porterebbe a un immediato sconto del 5 per cento dei pedaggi oltre a un forte aumento degli investimenti in manutenzione per anni colpevolmente precari. La questione politica però prescinde dall’esame oggettivo dei numeri. Lo scalpo da esibire è quello dei Benetton che hanno, sia chiaro, le loro responsabilità come azionisti. I processi sommari sono sempre sbagliati. Non si capisce perché un’esigenza legittima di giustizia (le inchieste fanno il loro corso accertando le responsabilità personali) debba trasformarsi in una condanna al prevedibile fallimento per un’intera azienda. Cioè per un insieme di lavoro e competenze (7 mila dipendenti), di cui l’Italia ha estremo bisogno nel momento in cui deve rilanciare gli investimenti. Se il gruppo non sarà più, come si dice in gergo, bancabile, cioè finanziabile e in grado di sostenere i propri debiti, ne faranno le spese altre società. Una reazione negativa a catena. Quando si sarà distrutta un’intera filiera produttiva si conteranno altre vittime innocenti. Gli azionisti se la cavano sempre, i lavoratori no.

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