Toninelli e la scemocrazia

A populista, populista e mezzo, e non è una buona notizia.

Non è un buon Danilo Toninelli, non uno infine aggrappato a uno sperone di politica col vuoto di sotto: ci è già cascato dentro, e ci trascina tutti. Non è un buon Toninelli quello seduto ai tavolini di un bar romano, attorniato da gente orgogliosamente di borgata nella prestanza muscolare e nell’esercizio di pensiero: Bibbiano, gli dicono. Vogliono sapere di Bibbiano, vogliono sapere che ci facciano i grillini con quelli di Bibbiano, ed è un ritornello sanremese, ce lo cantiamo e ce lo ricantiamo. Che ci fai Toninelli, tu, con quelli di Bibbiano, i cannibali del Pd, con gli orchi, che ci fai, eh? In uno slancio di erudizione da manuale di citazioni, verrebbe da ritirare fuori il pifferaio magico, me è molto peggio, non ci sono né pifferi né magie, è l’abisso del nulla, e quando si eleva il nulla a parametro della vita, sempre nel nulla si resta sprofondati.

E infatti, accerchiato dal nulla nerboruto – di lingua e di braccia – Toninelli, che è il nulla soltanto di lingua, non può compiere un passo: ne basterebbe uno solo, dentro la realtà che è sempre più forte della scemocrazia, obbliga a cambiare, a complicarsi, ad accettare il “compromesso al ribasso” (questi cercano il compromesso al rialzo, santo cielo, vorrebbero pure stendere delle finanziarie col compromesso al rialzo e, guarda un po’, i conti non tornano mai) nella consapevolezza (altra parola al vento in tempo di tormenta) che col compromesso non si arretra, si avanza. Basterebbe compiere quel passo, non cambierebbe nulla coi contestatori armati dello stesso vocabolario di Toninelli, del suo stesso calibro argomentativo, ma almeno sarebbe cambiato qualcosa in Toninelli.

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