Lo sfogo di Zingaretti: “Stiamo regalando mezza Italia a Salvini”

Al Nazareno è stato già analizzato il worst case scenario, dato come probabile: la destra che vince le regionali, ribaltando il 4 a 2 attuale, il governo che è minoranza nel paese, il referendum come un plebiscito, e quel punto partiranno le fanfare contro un Parlamento delegittimato e di abusivi incollati alle poltrone solo per lo stipendio, la crisi sociale più acuta, tra Cassa integrazione che non arriva e fine del blocco dei licenziamenti. Magari si può anche andare avanti per spirito di “autoconservazione” ma, politicamente parlando, il governo è “imploso”.

Ecco il punto. Quel messaggio sui “tafazzi” di oggi è già un modo per preparare il momento in cui ci si rimpalleranno le responsabilità domani, quando il 20 sera si vedrà chi ha vinto e chi ha perso, e per colpa di chi si è perso. È un messaggio già arrivato a uno dei destinatari, ma che non ha sortito alcun effetto, se non quello di suscitare una reazione altrettanto stizzita: “Zingaretti è in difficoltà al suo interno e per questo cerca un capro espiatorio. Lo sa da sempre che non avremmo potuto sostenere De Luca o Emiliano” sono le parole che il reggente dei Cinque Stelle Vito Crimi ha consegnato a qualche parlamentare che gli ha chiesto lumi. Il clima è questo, apparentemente da Festival dell’impotenza in cui ognuno non ha la forza per sovvertire un esito che appare scontato. Dietro la spinta inerziale, però, al Nazareno non sfugge il punto di caduta, la “convergenza oggettiva” tra Salvini, Renzi e Di Maio, insita nel worst case scenario: “Provare a far cadere il governo e rimettere in discussione la leadership del Pd”. Magari Gori ha sbagliato i tempi e stavolta i primi a non seguirlo sono stati proprio i renziani rimasti dentro il Pd, ma un’uscita del genere sarebbe difficilmente ignorabile il 21 settembre, in caso di esito negativo, soprattutto se la sconfitta dovesse essere ascrivibile alla mancata alleanza tra Pd e Cinque stelle, l’asse politico attorno a cui ruota il mandato dell’attuale segreteria. C’è una battuta, attribuita al vicesegretario Andrea Orlando particolarmente gettonata in questi giorni: “Abbiamo posti in piedi tra potenziali capi dello Stato e aspiranti segretari… Se qualcuno, con lo stesso impegno, andasse in giro a fare campagna elettorale…”.

Ecco, Conte nella morsa di due congressi striscianti, quello del Pd e quello dei Cinque stelle. Il Pd nella morsa di un governo immobile che “se non fa almeno tre o quattro cose, a settembre arriva stracotto”. Il tema è squadernato e con esso l’assenza di soluzione, oltre agli inviti e alle dichiarazioni diventati più pressanti, se è vero che l’uscita sull’Iva non è stata concordata e c’è voluta qualche telefonata di Gualtieri e di Gentiloni per rassicurare l’Europa che a Villa Pamphili il premier non preso un colpo di sole. Zingaretti è incazzato, ma finché non immagina una alternativa, si ritrova il governo sempre appeso a Barletta.

L’HUFFPOST

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