Il reddito di un italiano? È il 70% di quello di un tedesco: cresce in Europa la «Grande Divergenza»

A maggior ragione perché non riguarda solo l’Italia. Sul reddito medio per abitante anche Francia e Spagna avevano già perso terreno sulla Germania dal 2008 e anche per loro Covid sta accelerando tendenze ormai radicate. L’Ocse prevede che alla fine del 2021, a conti fatti, quella italiana sarà l’economia caduta di più e rimbalzata di meno in Europa. Ma con Spagna e Francia forma il gruppo delle uniche democrazie avanzate dove quest’anno il reddito cade di oltre il 10%. Invece Austria, Olanda, Irlanda, Belgio e la Germania, per quanto colpite, stanno soffrendo visibilmente meno. È questa la deriva che Merkel ha fretta di arginare, prima di passare la mano al prossimo cancelliere tra un anno e mezzo.

Oggi si iniziano a notare anche nei dettagli i segni di una reazione diversa fra le due aree d’Europa. Dalle rilevazioni di Google sulla mobilità, al 17 giugno le persone erano tornate al lavoro più in Olanda, Danimarca e Germania che in Italia o in Spagna. Erano tornate a flussi normale nei supermarket e nei negozi di alimentari più nel Nord Europa che in Italia o in Spagna. Non dipende da differenze sostanziali nelle misure prese dai diversi governi. La cittadinanza per ora risponde soprattutto in base alla fiducia che ha — o no — nel fatto che le autorità pubbliche sappiano gestire il ritorno alla normalità. Quanto a questo le famiglie italiane vanno capite, se avvertono una differenza fra le parole e le azioni dei loro politici.

Le parole: una settimana di discussione sul un piano del governo per l’economia a Villa Pamphili. Le azioni: all’articolo 4 del decreto 52 del 16 giugno si assegnano al ministro dell’Economia poteri straordinari — non annunciati, né discussi — di «sequestration» all’americana («variazione di bilancio e successiva riassegnazione») sull’intero ammontare degli 80 miliardi di euro degli aumenti di deficit in emergenza varati fino ad oggi nel 2020. Roberto Gualtieri — un ministro dal massimo senso di responsabilità — potrà monitorare e riorientare la spesa senza passare né dal parlamento né dal Consiglio dei ministri. È un potere senza precedenti in democrazia su somme tanto vaste, palesemente pensato per tamponare falle e rimediare ritardi nella macchina burocratica. Nel frattempo avanza sottotraccia un confronto delicato sulle dimensioni di un ulteriore, inevitabile scostamento di bilancio: vanno trovati ancora molti miliardi in deficit per comuni, regioni, cassa integrazione e per rafforzare il fondo di garanzia delle piccole imprese.

Sono tutte spie che, per arginare la Grande divergenza, al governo non bastano più un «piano» e un buon metodo di lavoro: vanno convinti tanti gruppi d’interesse a rinunciare a prerogative proprie che frenano il resto del Paese e gonfiano i costi. Serve una sorta di disarmo collettivo degli interessi particolari. La Corte dei conti dovrebbe rinunciare a un uso tanto ampio dell’abuso d’ufficio da impaurire i funzionari e paralizzare le loro decisioni. I comuni dovrebbero controllare meglio costi, funzioni e perdite delle loro partecipate. Magistrati e avvocati possono contribuire a una giustizia più rapida e digitale. I sindacati, aiutare gli statali a tornare in ufficio e le regioni aiutare la scuola a ripartire il primo settembre. L’Italia è il campo di un conflitto fra poteri particolari e interesse generale. Se prosegue, la Grande divergenza non si fermerà.

CORRIERE.IT

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