Stasi generali

Adesso anche il pomposo ottimismo sul “modello Italia”, la “valanga di soldi che arriveranno”, le “grandi riforme” pare risucchiato nel gorgo dell’indecisione e del rinvio, col premier che annuncia il “Recovery plan”, ovvero il piano per ottenere i denari europei per settembre, il che rende lecito chiedersi di cosa si sia parlato in questi giorni se non di un piano di riforme per accedere ai fondi europei. Sempre che ci sia per quella data il Recovery fund, dato troppo presto per acquisito nell’ansia di miracol mostrare, prima ancora che si manifestassero tutte le prevedibili asperità della trattativa europea.

In compenso, ci sarebbero, a proposito di concretezza e di problemi di liquidità, i soldi del Mes, pronti da utilizzare, ma di questo il premier non parlerà nella sua “informativa” in Aula, perché l’intero governo è prigioniero della contesa deflagrata dentro i Cinque stelle. E dunque si rinvia, nell’ambito di una sorta di gioco dell’oca, che assomiglia a uno sciogli-lingue per i non addetti ai lavori, per cui di Mes si parla dopo il Recovery, ma il Recovery è rinviato a livello europeo, e quindi si resta inchiodati alla casella di partenza, con l’unica certezza che gli italiani pagheranno l’Imu.

Si dirà: fate presto a parlare voi iene dattilografe, avvezze a criticare dalla vostra scrivania chi si ritrova a gestire una situazione senza precedenti. Obiezione già sentita che avrebbe qualche fondamento se qualcosa andasse liscio, spedito, senza intoppi, come richiederebbe, appunto una situazione senza precedenti. L’elenco, invece, è impietoso. Il decreto semplificazione, annunciato a metà maggio come la “madre di tutte le riforme” nella prima conferenza stampa all’aperto, di rinvio in rinvio è entrato in una terra di nessuno. Il decreto rilancio ha iniziato il suo iter in Commissione oggi e sarà una corsa contro il tempo votarlo entro fine luglio, quando scade, con 260 articoli e 1200 emendamenti. Su Autostrade: la De Micheli ha annunciato la decisione entro i prossimi 15 giorni, e non è la prima volta per un dossier aperto dal giorno successivo al crollo del Ponte di Genova. Di quindici giorni in quindici giorni sono passati due anni e due governi (con lo stesso inquilino a palazzo Chigi). E poi i soldi per Alitalia, promessi e non stanziati, Ilva con Mittal da riconvocare dopo la presentazione di cinquemila esuberi.

È un bilancio impegnativo, che diventa davvero senza precedenti se si aggiungono incertezze e ritardi sul già varato: i decreti attuativi che mancano sul Cura Italia e sul decreto Rilancio, il labirinto burocratico del decreto liquidità che comporta ritardi nell’erogazione dei prestiti, la Cassa integrazione, che in parecchi aspettano ancora, prolungata per quattro settimane, con la scoperta, solo ora che il meccanismo è “farraginoso” e necessita anch’esso di una riforma. Il bonus per le partite Iva e gli autonomi coperto fino a fine maggio. E tralasciamo, per necessità di sintesi, la questione della scuola, la fornitura d’armi all’Egitto, i decreti sicurezza da cambiare da un anno. A proposito di concretezza e di chiacchere a Villa Pamphili. Punto. 

L’HUFFPOST

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