Stasi generali

Anche Confcommercio, dopo quattro chiacchiere alla Casina del Bel Respiro con Conte, all’uscita rilascia la dichiarazione, diventata ormai un classico in questi giorni, “bene, ma ora serve concretezza”. Concretezza, come aveva chiesto Mattarella, sindacati, anche Colao, già congedato dopo la presentazione del suo ambizioso piano, già  finito negli sterminati archivi delle “bozze” periodicamente bruciate dal grande forno dell’indecisionismo italiano. E pureAboubakar Soumahoro, che non è stato invitato ma si è incatenato davanti a Villa Pamphili finché il governo non ascolterà gli “invisibili”, chiede “atti concreti”. Non ci vuole una Cassandra per prevedere analoga sollecitazione da parte di Confindustria domani o dalla miriade delle sigle chiamate a ripetere l’ovvio in questa campagna d’ascolto per l’ascolto. E cioè che di fronte al collasso economico di cui si vedono già tutti i segni, occorrono decisioni, tempestività, determinazione.

Neanche l’abilità comunicativa dei brillanti spin doctor del premier è riuscita finora nel miracolo di dare corpo a ciò che corpo non ha, affidando il messaggio di ricostruzione solo alla grandeur ambientale di una villa in stile Luigi XIV, senza uno straccio di idea. Anzi, il paradosso è che questi Stati Generali si sono trasformati in un caso di scuola di eterogenesi dei fini: una mossa di propaganda che ha finito per disvelare l’estrema fragilità del quadro, inteso come progetto, visione, insomma governo. Perché, con la fine del lock down, la realtà, con la sua “concretezza” e i suoi bruschi principi ha squarciato ogni velo di Maja di una narrazione “separata”, da somministrare a un popolo chiuso in casa con gli artifici della comunicazione. Così prepotentemente da aver relegato in un cono d’ombra financo un appuntamento pensato da Re Sole.

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