Conte e la lite sull’economia «Il Paese non può aspettare»

di Monica Guerzoni

ROMA – Slittano gli stati generali dell’economia, che Giuseppe Conte aveva immaginato per dimostrare ai vertici della Ue che Roma ha un «progetto lungimirante condiviso con tutte le migliori risorse» del Paese. In realtà questo progetto — che condiviso proprio non è e che dovrebbe indicare come l’Italia intende spendere i 170 miliardi del Recovery fund — esiste solo a grandi linee. E il fatto che il premier lo abbia annunciato spiazzando i vertici dei partiti, ha inasprito i rapporti nella maggioranza. La sfida di Dario Franceschini al professore pugliese ha fatto notizia e confermato che la pazienza del Pd è agli sgoccioli.

Il malumore che covava dalla sera del 3 giugno, quando il premier dal cortile di Palazzo Chigi aveva chiamato a raccolta imprenditori, parti sociali, terzo settore e «singole menti brillanti», è esploso nella riunione con i capi delegazione dei partiti, Franceschini, Bellanova, Fraccaro, Laura Castelli al posto di Bonafede, Cecilia Guerra al posto di Speranza, più Gualtieri e Patuanelli. Un vertice che, a suon di critiche per la mancanza di una visione e alzate di tono per la trovata non concordata, ha convinto il capo del governo a tirare un poco il freno.
A metà pomeriggio Conte presenta l’iniziativa come un grande appuntamento nella spettacolare Villa Pamphilij: «Ascolteremo economisti, industriali, ma anche intellettuali. Personalità della cultura, dell’urbanistica, dell’architettura…». Franceschini scuote nervoso la testa e quando è il suo turno, raccontano, attacca: «È una cifra enorme, arrivano quasi 200 miliardi e non abbiamo una strategia per spenderli». Scontro duro, senza precedenti.

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