Recovery Fund, la vera sfida: spendere bene quei soldi

di GIUSEPPE TURANI

La “matrigna” Europa, da cui mezzo paese sembrava volesse uscire il prima possibile, si è finalmente mossa e arrivano soldi, un po’ a prestito, molti a fondo perduto, cioè regalati. Naturalmente, è bene ricordare che parte di quei soldi sono nostri, contributi che abbiamo versato. Ma, al netto, da Bruxelles arrivano molti soldi. Nel pacco dono però c’è anche una clausola: quei denari vanno usati per fare cose nuove, per ammodernarne il paese. E qui nascono due problemi. L’Italia dovrebbe avere un piano su che cosa fare con quei denari, ma il piano ovviamente non c’è. Da mesi ormai si vive alla giornata e quindi nessuno ha gettato lo sguardo al di là della siepe. 

E non è pensabile che in pochi giorni si possa stendere un progetto sensato: quelli che erano capaci di farlo o non ci sono più o sono in pensione, lontano dalle leve del potere. Ma Bruxelles va oltre e scrive che bisognerebbe investire soprattutto sulla connettività, considerata la chiave di volta dell’ammodernamento del paese. Ma connettività, oggi in Italia, significa soprattutto avviare i collegamenti 5G (al posto del 4G oggi in uso). Il suggerimento di Bruxelles non è bizzarro: il 5G consentirebbe tante cose, come il telelavoro, il tele insegnamento e anche il tele funzionamento di molti macchinari. Una vera rivoluzione.

Ma qui troviamo il primo intoppo. Disegnare un’Italia a 5G significa disegnare un paese completamente nuovo: difficile che possa essere fatto da un governo che è lì quasi per caso. E che quasi certamente non ha l’autorità morale e politica per gestire una faccenda così grande. Inoltre, sono già entrati in azione i contestatori, secondo i quali le antenne del 5G diffonderebbero addirittura il virus Covid 19.

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