Giovanni Falcone ventotto anni dopo, cercando l’innocenza perduta

Giovanni Falcone ventotto anni dopo, cercando l’innocenza perduta

MASSIMO GIANNINI

Se la povera Italia non avesse avuto alle spalle una già lunghissima scia di colpa e sangue, verrebbe da dire che in quel 23 maggio 1992 si conclude la nostra età dell’innocenza. A Capaci termina una Storia e ne comincia un’altra. «Come tutte le cose umane, anche la Mafia ha un inizio e avrà una fine…», disse Giovanni Falcone in una famosa intervista, poco prima di saltare in aria su quel maledetto rettilineo dell’autostrada A29, insieme alla moglie Francesca Morvillo e tre uomini della sua scorta. Purtroppo è cambiata ma non è ancora finita, la Mafia che quel giorno, con una mattanza innescata da 400 chili di tritolo, inaugurò la tragica stagione delle stragi, portando l’attacco al cuore dello Stato dopo averne contaminato e infine incarnato interi pezzi. Oggi sono ventotto anni da quella primavera-estate che si portò via i due magistrati-simbolo di una lotta ad armi impari contro Cosa Nostra (dopo Falcone, Paolo Borsellino). «È stato il nostro 11 settembre», scrive Francesco La Licata nel racconto che leggerete all’interno di questo speciale de “La Stampa”. E il nostro 11 settembre lo abbiamo voluto celebrare così, con un ricordo eccezionale di quelle persone e di quel tempo, perché la pandemia ci ha precluso anche questo momento di memoria collettiva da vivere e rivivere ogni volta tutti insieme, come se fossimo davvero la nazione unita e coesa che purtroppo non riusciamo ad essere. Milano, il Pirellone illuminato ricorda la strage di Capaci

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