Addio a Giulietto Chiesa, il comunista anti-comunista che raccontava il mondo per contraddizioni

anna zafesova

Giulietto Chiesa

L’ultima volta che ho visto Giulietto Chiesa, stava litigando. In diretta, in un talk show della Tv russa. La trasmissione era dedicata all’Europa “invasa dai migranti”, e gli ospiti stranieri erano stati invitati a supportare la tesi che l’Occidente venisse deturpato da africani e musulmani. Giulietto arricciò il mitico baffo, esplodendo in una replica indignata: “Non vorrete che ci mettiamo ad affondare i barconi!” Difese appassionatamente le ragioni democratiche e umanitarie degli europei che salvavano i migranti in mare, senza farsi intimidire dalla rabbia di tutti i presenti in studio.  Performance che andava parecchio contro l’immagine di uno che ormai veniva considerato da molti uno “sul libro paga di Putin”.

La prima volta che sentii parlare di Giulietto Chiesa, anni prima di conoscerlo, era stato in ambienti di comunisti sovietici, e ne parlavano come di un “nemico esplicito”, uno  che non si prendeva nemmeno la briga di fingere per educazione. Era corrispondente dell’Unitá, abitava nella casa dei giornalisti della Pravda, insomma, era “sul libro paga di Mosca”, ma era considerato un nemico. Ogni sua nuova corrispondenza sul disastro del socialismo realizzato veniva letta sotto il microscopio (e diffusa soltanto nelle traduzioni riservate alla nomenclatura) e suscitava violenti attacchi di rabbia. Giulietto è stato l’unico corrispondente straniero nella Mosca di Breznev a meritarsi una dichiarazione ad personam della TASS contro di lui. Ne andava fiero come di una medaglia. 

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