In ordine sparso, l’errore da evitare

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di   Beppe Severgnini

Bisogna inseguire le parole, sono importanti. Anche quando sono troppe, come accade in questo periodo. La bulimia comunicativa della nazione si spiega solo con la necessità di ascoltare la nostra voce e annacquare la nostra ansia: diciamo di voler rassicurare, in realtà cerchiamo rassicurazione. Vale anche per chi comunica di mestiere. Non tutto quello che diciamo/scriviamo è utile. Ma, se non è dannoso, siate indulgenti. Per alcuni di noi è una forma di conforto: se si ascoltano tutti i giorni su Facebook o in televisione, hanno la conferma di (r)esistere.

   Anche dentro il frastuono, però, ci sono note interessanti. Se alcune espressioni sono diventate popolari è perché riassumono uno stato d’animo, o una preoccupazione. Ne segnalo una: «in ordine sparso». E’ un ossimoro, se ci pensate, una contraddizione in termini, perfetta per questi tempi confusi. L’ho usata rispondendo alla prima domanda di Lilli Gruber durante «Otto e mezzo», mercoledì. Come sta reagendo l’Italia, a questo punto dell’emergenza coronavirus? Risposta: in ordine sparso.

   «In ordine sparso»: tre parole che volano nell’aria primaverile italiana. Da una settimana le ritrovo ovunque. In radio, nei titoli dei giornali (Corriere, Stampa, Giornale, Foglio, Unione Sarda, Nazione, Secolo XIX, Eco di Bergamo). Durante l’edizione delle 20 di SkyTG24, venerdì, quattro colleghi diversi le hanno pronunciate. Anche l’infettivologo Massimo Galli se n’è avvalso: «Regioni in ordine sparso su test sierologici, pessima prova».

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