Così il gruppo guidato dall’Olanda minaccia l’Europa
La dignità dell’Europa in queste settimane è rappresentata in un’immagine: l’affondo del premier socialista portoghese Antonio Costa contro il ministro delle Finanze olandese Wokpe Hoekstra, di cui Costa ha definito “ripugnante” la proposta di indagare sui bilanci dei Paesi del Sud Europa nell’ora più buia della crisi da coronavirus. Una rivolta durissima contro il mito dei “periferici” pigri, scialacquatori e necessari di correzione con l’impostazione quadrata e moralista degli austeri nordici, ma anche uno spaccato del peso assunto oggi dall’Olanda in seno all’Unione.
L’Olanda, anche per l’innegabile abilità negoziatrice del premier Mark Rutte, è diventata la diga dell’ortodossia europeista nell’Unione: la difesa a oltranza dell’austerità, delle regole fiscali, del mito del pareggio di bilancio, inaugurato dalla Germania di Angela Merkel, ha trovato nel Paese governato dal poliedrico liberale Rutte un bastione capace di costruire attorno a sé una fitta rete di alleanze con gli altri Paesi atlantici e baltici dell’Unione.
L’alleanza informale e decentralizzata prende il nome di Nuova lega anseatica, in rimando alla mitica Hansa che federò le città del Mare del Nord e del Mar Baltico in una lega commerciale tra il Medioevo e il XVI secolo, ed è il Frankenstein dell’europeismo ortodosso. Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia, Svezia, Irlanda, Estonia, Lettonia e Lituania si sono, a partire dal 2018, riunite in una serie di meeting che hanno coinvolti i rispettivi ministri della Finanze costituendo, di fatto, il terzo polo d’influenza dell’Unione dopo Parigi e Berlino.
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