Coronavirus, appelli ignorati. Il politicamente corretto ci è costato caro
di MASSIMO DONELLI
Due settimane fa quando i governatori del Nord, con buonsenso, hanno chiesto di mettere in quarantena i bambini di ritorno dalla Cina, si sono ritrovati in una gogna mediatica. Tra accuse di razzismo e lazzi sull’incompetenza scientifica, sono stati sbeffeggiati perfino dal presidente del Consiglio, il callido Giuseppe Conte: “Chi ha ruoli politici ha anche il dovere, la responsabilità di dare messaggi di tranquillità e serenità. La situazione è sotto controllo”.
Ieri mattina, leggendo le notizie da Codogno, mi sono ricordato di due cose. La prima. Nelle stesse ore in cui in il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, si faceva fotografare nella Chinatown meneghina per solidarietà con i suoi elettori cinesi, ho ricevuto un’email da Erez Boas, rettore dell’USI, l’Università della Svizzera italiana di Lugano, dove insegno: “L’USI richiede a tutti i membri della comunità accademica, compresi gli studenti, di ritorno dalla Cina di studiare/lavorare da casa per un periodo di 14 giorni. Il conteggio inizia dal giorno in cui si arriva in Svizzera. Se si sviluppano i sintomi di un’infezione respiratoria (febbre, tosse, fiato corto), restare a casa e contattare immediatamente, prima per telefono, un medico o un istituto sanitario”.
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