Brexit, il gioco dell’oca britannico

Tutto come un tempo, in sostanza. Come se quarantasette anni dentro la Comunità/Unione Europea fossero un colpo di vento – che sull’isola non manca mai. La novità era prevedibile: l’idea di “riprendere il controllo dei confini” stava al cuore della propaganda di Brexit, e ha portato alla vittoria nel referendum del 2016 (in misura minore, al successo elettorale di Boris Johnson del 2019). Certo, le nuove regole prevedono corsie preferenziali per scienziati e altri talenti. Ma per i milioni di ragazzi italiani ed europei che in questi anni hanno sperimentato Londra – la metropoli più vitale d’Europa, anche grazie a loro – tra dieci mesi cambierà tutto. Non potranno più riempire un trolley, salutare i genitori e partire. Tutto sarà regolamentato.

Come potete leggere nell’esauriente riassunto di Chiara Severgnini, il nuovo sistema rischia di avere conseguenze pesanti anche sul Regno Unito: la sanità, l’edilizia e la ristorazione britannica sono vissute – e fiorite – anche grazie ai giovani europei. Così i servizi, finanza compresa. Non c’è cantiere senza un polacco; gli italiani lavorano con successo in ristoranti e bar; è difficile immaginare un negozio o un ufficio senza una ragazza spagnola, un portoghese, un giovane tedesco o un francese. Al Reform Club, di cui sono socio dal 1986, nei giorni scorsi mi è capitato di conversare con chi lavora lì: una russa, un bulgaro, due italiani, due marocchini. Al bar, una ventiduenne tedesca con i capelli corti, appena arrivata: sorridente, efficiente, felice di conoscere Londra da dentro.

Accade lo stesso dovunque nel Regno Unito: da Brighton a Edimburgo, da Liverpool a Bristol. Di fatto, l’immigrazione europea ha sostituito quella proveniente dall’Impero (talvolta, a condizioni non più vantaggiose per gli immigrati!). Come verranno rimpiazzati i lavoratori europei? La libera circolazione delle persone garantiva manodopera duttile, giovane, spesso di talento, a costi competivi. Dove sono gli inglesi che possono fare tutto questo? Good luck, Britain: ne avrai bisogno.

CORRIERE.IT

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