Libia, le truppe di Haftar rivendicano: «Abbiamo preso Sirte»

Non è chiaro quanta parte della città sia sotto il controllo dell’Lna. La tv Al Arabiya dice tutta, e manda in onda i festeggiamenti della popolazione nel quartiere numero 3 fra clacson, nuvole di fumo, proclami delle milizie. Un sito gheddafiano, sede in Spagna, pubblica le foto dei primi tank di Haftar nelle caserme di Sirte. Testimonianze dirette raccolte dal Corriere confermano che l’Lna è entrato in città da almeno venti accessi a est e da sud. Ma sembra che diverse zone siano ancora contese e sia forte la resistenza delle milizie di Misurata, quelle che nel 2016 hanno cacciato l’Isis e che sono inquadrate nell’operazione «Vulcano di rabbia» messa in piedi dal Governo d’accordo nazionale di Tripoli (il Gna di Fayez Serraj, riconosciuto dall’Onu) per contrastare l’offensiva di Haftar.

Molti misuratini sono arretrati, altri resistono. «Le nostre truppe si preparano a sferrare l’attacco per il controllo di tutte le vie di collegamento — dice il portavoce del generale —, vogliamo isolare il nemico dalle linee di rifornimento di Misurata». Anche l’aeroporto di Gardhabie sarebbe stato consegnato agli ufficiali dell’Lna, «in cambio d’un salvacondotto per la ritirata». Durante la presa della città, Sarraj è ad Algeri col ministro degli Esteri turco Cavusoglu, per convincere i vicini a sostenere la difesa di Tripoli. Un suo portavoce (che ormai parla attraverso l’agenzia turca Anadolu) si limita a riconoscere che «il criminale di guerra» Haftar sta cercando di conquistare la parte orientale di Sirte. Nient’altro.

La svolta è militare e politica. Perché rivela come l’Lna abbia ricevuto stavolta le armi che chiedeva, per conquistare Sirte. E perché la caduta d’una città-simbolo si ripercuote sull’assedio di Tripoli: «L’escalation nella capitale è molto probabile», riconosce l’Ue, lasciata a casa con la sua quasi inutile missione diplomatica dopo la strage dei cadetti. «Dietro quel massacro c’è forse la mano d’un Paese che finanzia Haftar», rivela l’inviato dell’Onu, Salamé, accennando velatamente agli Emirati arabi. «Tenetevi pronti per la Libia», dice il presidente turco Erdogan agli uomini dei suoi servizi segreti Mit: i primi soldati sono arrivati e ora l’accelerazione di Ankara è inevitabile. «Haftar, i turchi sono con noi — aveva detto un ministro di Sarraj qualche giorno fa —: non ti resta che arrenderti o suicidarti».

CORRIERE.IT

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