La Brexit di Boris

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di   Aldo Cazzullo

L’Europa perde Londra, stavolta davvero. La più antica democrazia del mondo era entrata nel labirinto la notte del 23 giugno 2016. Tre anni e mezzo di trattative e ripensamenti; un’elezione anticipata che non aveva risolto nulla; la caduta di Theresa May; l’avvento di Boris Johnson.

La vera notte della Brexit è questa. E se sarà confermato l’exit-poll che dà 368 seggi (su 650) ai conservatori, allora il premier potrebbe avere maggiori margini di manovra: anche per negoziare un’uscita soft, che garantisca i diritti dei lavoratori stranieri e la libertà degli scambi commerciali.

Boris Johnson aveva puntato tutto sulla Brexit, per queste storiche elezioni. Ha vinto. Il suo vantaggio su Jeremy Corbyn è netto, più del previsto. I laburisti crollano rispetto al 2017. Tengono i distretti della capitale, ma perdono quelli del Nord impoverito, favorevoli all’uscita dall’Europa. Il voto conferma che la sinistra non può credere di riconquistare il voto popolare con le ricette del passato: tasse, confische, nazionalizzazioni. Un monito anche per i democratici americani, tentati da leader — come Elizabeth Warren e Bernie Sanders — della stessa generazione e con idee analoghe a quelle di Corbyn.

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