Essere Venezia

di   Alessandro D’Avenia

Perché Venezia è la città più bella (dire del mondo è fuorviante perché a nulla al mondo è paragonabile)? Lo ha spiegato il nobel Josip Brodskij nel più bel libro mai scritto sulla città: Fondamenta degli incurabili. Venezia è la più bella perché conferisce all’acqua, che dello scorrere del tempo è la traduzione fisica, ciò che il suo inarrestabile fluire di per sé non ha: la bellezza. E come ci riesce? Come uno dei suoi maestri vetrai, soffiando mare e cielo tra palazzi di marmo e case di mattoni, tra tortuose calli e piazze inattese, tra ponti merlettati e moli incrostati d’alghe, fino a modellarli in una brocca di luce e colori, che versa l’infinito nell’anima – bicchiere o pozzo che sia – di chi la percorre. Chi cammina a Venezia non visita Venezia, ma diventa Venezia. La sua bellezza non si può meritare, non si deve esser all’altezza perché è lei a darci l’altezza. La bellezza è un dono, e un dono, per chi sa ricevere, è anche un perdono: un nodo dentro di noi si scioglie perché, per quanto la nostra vita sembri amara, c’è pur sempre questa vita altra, quella della bellezza, e con essa nasce una nuova speranza. Quando sono (a) Venezia amo perdermi nel labirinto d’acqua, proprio per ricordarmi che, tra il tempo e la bellezza, è la seconda a vincere: che una cosa bella sia una gioia per sempre non è un verso poetico di John Keats ma un programma politico per chi dimentica che, mentre il futuro è sempre ignoto, la bellezza è un presente eterno e garantito.

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