Matteo il furbo abbaia ma non morde

Peccato. Già una volta – correva l’anno 2014 – ci eravamo illusi che Renzi potesse rappresentare se non un’opportunità almeno una sponda affidabile per liberali e moderati. E ci aveva creduto pure Silvio Berlusconi, che a lui si era avvicinato con il famoso patto del Nazareno per riformare il Paese. Andò male, la sete di potere dell’allora giovane premier rovinò tutto, aprendo la strada a Cinque Stelle e Lega.

Oggi Renzi riprova a giocare su due tavoli: al governo per fare da stampella alla sinistra che più sinistra non si può, dalla parte dei moderati nei dibattiti pubblici. Moderati dei quali vorrebbe i voti, ma nell’attesa prende loro i soldi. Ci si può fidare di uno così, che per giustificarsi promette: «In parlamento daremo battaglia a queste tasse» manco fosse il leader dell’opposizione invece che di governo?

Se Renzi fosse coerente con i suoi annunci, ieri avrebbe dovuto fare dimettere i suoi ministri e aprire la crisi perché il suo appello a togliere le «tasse odiose» è stato respinto dai suoi soci con una grande pernacchia (né vale la medaglia di avere disinnescato l’aumento dell’Iva, cosa che avrebbe fatto certamente anche il precedente governo). In assenza di fatti, le parole non ci bastano e restiamo al concetto con cui abbiamo titolato il giornale di venerdì: «Renzi si iscrive al partito dei tassatori». Se nel prosieguo straccerà la tessera gliene daremo atto, e forse anche qualche cosa di più.

IL GIORNALE

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