Il reddito di cittadinanza ora va riparato
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di Dario Di Vico
Il nuovo governo alle prese con la priorità rappresentata dalla legge di Bilancio non ha ancora affrontato un nodo che nel frattempo è venuto al pettine, non ha formulato un giudizio sullo stato di attuazione del reddito di cittadinanza. Parliamo di un provvedimento che ha poco più di un semestre di vita e che però ha già mostrato limiti strutturali e pecche organizzative che non possono essere trascurati. In almeno tre casi, poi, il reddito ha smentito le attese dei suoi stessi sostenitori: non è servito a sorreggere il Pil dell’anno in corso, non ha spinto gli inattivi a mobilitarsi e a far crescere la quota di chi cerca veramente lavoro e, soprattutto, non si è rivelato quella pietra miliare nella storia del welfare italiano che doveva essere nelle intenzioni di chi ne ha disegnato i contorni. La verità, assai prosaica, è che il reddito di cittadinanza via via che accumula giorni di vita non riesce a nascondere un difetto congenito: è stato varato in tutta fretta perché doveva servire a una grande operazione di comunicazione («l’abolizione della povertà» proclamata dall’allora vicepremier Luigi Di Maio) e subito dopo doveva farsi vento per soffiare nelle vele elettorali dei Cinque Stelle. Non è andata così, la nuova legge si è dimostrata uno strumento di captatio benevolentiae largamente imperfetto e al suo interno non è riuscita a celare alcune contraddizioni che ne hanno compromesso l’immagine.
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