Meno sconti sulle tasse: perché la promessa del governo è una mission impossible

di  Vittorio Malagutti

Il primo della lista è il bonus di 80 euro per tutti i lavoratori dipendenti che guadagnano meno di 26 mila euro l’anno. Lo sconto fiscale varato nel 2014 dal governo di Matteo Renzi costerà allo Stato 9 miliardi di euro nel 2019, distribuiti su oltre 11 milioni di beneficiari. In seconda posizione troviamo le detrazioni per la ristrutturazione delle abitazioni, che pesano per quasi 7 miliardi sui conti pubblici, poi l’esenzione Irpef della prima casa che vale 3,6 miliardi. Sono invece oltre 18 milioni gli italiani che ogni anno detraggono le spese sanitarie dalla dichiarazione dei redditi, con un risparmio, finanziato dall’Erario, di 3,3 miliardi. L’elenco potrebbe continuare ancora a lungo: sono infatti oltre 500 le agevolazioni fiscali, sotto forma di deduzioni, detrazioni ed esenzioni, che lo Stato garantisce a particolari categorie di cittadini. Si va dalle detrazioni Irpef per le spese veterinarie al ribasso delle accise per gli autotrasportatori, dalla cedolare secca sugli affitti di abitazioni al credito d’imposta per le imprese armatoriali, giusto per citare alcune delle voci che compaiono nella lista ufficiale degli sconti. Un ginepraio gigantesco che si è esteso a dismisura nel corso degli anni.

Giuseppe Conte si riferiva proprio a questi benefici quando, lunedì 9 settembre, presentando il programma di governo alla Camera, ha citato anche «il riordino del sistema delle agevolazioni fiscali». L’obiettivo è chiaro. Un taglio netto di quelle che gli addetti ai lavori chiamano tax expenditures, spese fiscali in italiano, potrebbe rivelarsi una scorciatoia per racimolare una manciata di miliardi, almeno sei o sette secondo gli ottimisti, che andrebbero a finanziare la prossima manovra di bilancio. Conte non è certo il primo presidente del Consiglio che, alla ricerca affannosa di nuove risorse, si dice pronto a metter mano a questo capitolo del bilancio dello Stato.

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