Quelle pressioni su Nicola Zingaretti per dire ok a Giuseppe Conte, l’incolore politico

di Marco Damilano

L’italiano non è l’italiano: è il ragionare», scrive Leonardo Sciascia in Una storia semplice. Vale lo stesso per la politica. La politica non è la politica: è il ragionare. Vuol dire che se sei un leader politico puoi fare qualunque mossa, anche la più cinica, la più spregiudicata, ma devi saperla argomentare di fronte agli elettori, naturalmente in uno Stato democratico.

Quanto sta avvenendo in queste ore, dopo il lungo ultimo fine settimana, dimostra questa l’impossibilità di argomentare, per i principali protagonisti della crisi. È impossibile per Matteo Salvini spiegare perché, dopo aver abbattuto il governo Conte con il pretesto che la Lega non poteva più essere alleata con il partito dei No, ora propone un governo con gli stessi No-tutto (leggi M5S), addirittura con Luigi Di Maio premier: questa mattina Roberto Maroni, autorevole esponente della Lega Nord (che non coincide con la Lega Salvini premier), è inorridito al solo sentirne parlare.

È impossibile per Luigi Di Maio spiegare perché intende allearsi con il Pd, da lui definito il partito di Bibbiano. Infatti, non lo spiega. Resta al mare, fedele al suo status, una vita in vacanza, il refrain con cui lo Stato sociale spopolò a Sanremo: e fai il il candidato e poi l’esodato, e fai opposizione e fai il duro e puro… Si rifiuta da giorni anche soltanto di nominare quel partito, il Pd, con cui sulla carta sta per governare il Paese. È impossibile per Nicola Zingaretti spiegare perché il Pd si prepara a cedere e a sostenere un governo presieduto di nuovo da Giuseppe Conte, stando alle ultime notizie e dopo un assedio asfissiante durato l’intero fine settimana, in cui è uscito allo scoperto il partito trasversale dell’attuale premier. Dalle cancellerie europee agli americani (non Donald Trump), dal Vaticano alla sinistra radicale.

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