Rischio recessione europea per la crisi della Germania?

Andrea Muratore

La Germania è in affanno, e su queste colonne ultimamente abbiamo raccontato sia il fronte politico della crisi del governo di Angela Merkel, insidiato elettoralmente da Verdi e Afd, che la triplice congiuntura economica che mette a repentaglio la stabilità del sistema tedesco.

In Germania cala la produzione industriale, si mette in discussione il dogma del pareggio di bilancio che mostra tutti i suoi limiti ora che Berlino è sull’orlo della recessione e cala la fiducia degli investitori verso il primo mercato d’Europa. La guerra dei dazi ha messo un freno alla crescita del commercio mondiale e il modello mercantilista della Germania ne risente duramente: priva di reale proiezione geopolitica al di fuori dell’Europa, Berlino ha fatto dell’espansione dei suoi commerci fondati su un’industria manifatturiera tradizionale ad alta intensità occupazionale e a valore aggiunto elevato (automobile, componentistica, farmaceutica) la via maestra su cui calibrare l’interesse nazionale. In nome di questa espansione, tuttavia, la Germania del XXI secolo ha trascurato investimenti infrastrutturali, spese per l’innovazione e piani strategici di lungo periodo, ridotto il welfare sotto i colpi delle riforme Hartz IV, precarizzato il lavoro e conosciuto un duro aumento delle disuguaglianze, specie all’Est divenuto riserva elettorale di Afd. La stagnazione finanziaria conosciuta dal Paese dopo il fallimento della fusione tra Commerzbank e Deutsche Bank e il tracollo di quest’ultima ha contribuito a deprimere gli investimenti e le attività economiche dei privati, che un report di Credit Agricole ha segnalato esser scesi nel 2019 ai minimi dalla Grande Crisi.

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