I voti ottenuti e lo Stato di diritto

Il Parlamento ha tutto il diritto di svolgere la propria indagine, come avvenne nella scorsa legislatura, per trarne le dovute indicazioni di carattere generale. Ma le cautele non possono mancare. Il risparmio è materia delicata, costituzionalmente garantita. Il credito è la linfa vitale di un sistema economico. Se si interrompesse di colpo, il Paese, che è già drammaticamente fermo, subirebbe un infarto. Un crollo. Pagherebbero tutti, i più deboli per primi. Nella tensione teatrale di un processo sommario, i lavori della Commissione assumerebbero i toni — come qualche arrembante membro della maggioranza vorrebbe — di una sorta di vendetta popolare, di un’esecuzione pubblica. Le conseguenze, certo indesiderate ma assai probabili, ricadrebbero anche sugli operatori onesti, i risparmiatori, gli azionisti, sul flusso degli investimenti, sull’apprezzamento dei mercati.

Dopo l’intervento del Quirinale, la prudenza e la saggezza vorrebbero che si chiudesse, al più presto, il capitolo delle nomine alla Banca d’Italia. E si mettessero da parte strane idee sull’oro, impeti di statalizzazione di un istituto che è già pubblico. Anche perché non si comprende quale impulso masochistico spinga la maggioranza — che non saprà come gestire nei prossimi mesi le finanze pubbliche — a complicarsi la vita mettendo a repentaglio l’indipendenza della sua banca centrale. Cioè ad essere ancora meno credibile sui mercati. Il consiglio superiore della Banca d’Italia ha avviato giovedì la procedura per le nomine necessarie ad integrare il direttorio di via Nazionale. Con la promozione di Fabio Panetta a direttore generale, in sostituzione di Salvatore Rossi. Con due vice: Daniele Franco che lascerà il ruolo di Ragioniere dello Stato (altra casella delicata da ricoprire con persona competente non fedele) e Alessandra Perrazzelli. Toccherà al premier Giuseppe Conte, sentito il titolare dell’Economia, portare le nomine in consiglio dei ministri per ratificarle. Prima della firma definitiva di Mattarella. E scongelare anche il parere sulla conferma di Luigi Federico Signorini lasciata in sospeso. Ci sono delle riserve? Non sono mai state comunicate al governatore Ignazio Visco. L’esecutivo non ha però una funzione notarile. Nella storia della banca centrale anche Donato Menichella, Guido Carli, Lamberto Dini e Mario Draghi arrivarono dall’esterno. Se si vuole discontinuità, occorre scegliere profili di alta pro-fessionalità e indipendenza. Non è la prima volta che un governo fa resistenza sulle nomine della Banca d’Italia. Silvio Berlusconi fece aspettare alcuni mesi l’allora governatore Antonio Fazio sulla promozione di Vincenzo Desario a direttore generale. L’indipendenza di Palazzo Koch (i membri del governo non partecipano mai all’assemblea per rispettarne il ruolo) è stata mal sopportata e digerita in varie fasi della Prima e della Seconda Repubblica. Qualcuno ricorderà l’umiliazione di un governatore come Carlo Azeglio Ciampi costretto ad aspettare lunghe ore, nei corridoi del Comitato per il credito, che i partiti si spartissero le poltrone in Casse e Popolari, allora pubbliche. E forse non sarebbe del tutto inopportuno (ma il paragone appare assolutamente inappropriato) andare indietro nel tempo e rivivere i giorni drammatici dell’attacco sferrato, con accuse false, all’allora governatore Paolo Baffi e al vice direttore generale e capo della Vigilanza, Mario Sarcinelli. Era esattamente il marzo di quarant’anni fa. Si capirebbe ancora di più che cosa abbia rappresentato l’indipendenza della banca centrale — a difesa della nostra fragile democrazia — in un periodo tra i più bui della nostra storia.

P.s. In questi giorni la Banca d’Italia ha assicurato al Tesoro, tra utili e imposte, 6,9 miliardi. Un record. Quasi una manovra. Visti i chiari di luna e gli importi in gioco nelle prossime manovre rischiano di essere briciole. Ma tant’è.

CORRIERE.IT

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