Gran Bretagna, la democrazia come «farsa», il futuro di un Paese stanco in preda a una crisi di nervi
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di Beppe Severgnini
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Non è panico, non è rabbia e non è neppure frustrazione: quella che si respira a Londra è stanchezza. Conosco questa città da quarantacinque anni, la frequento per lavoro da trentacinque: non l’ho mai vista così. Il governo britannico non sa cosa fare, e la nazione non riesce a uscire da una situazione che molti commentatori, non sapendo che altro dire, definiscono farcical, farsesca. Ma la farsa induce alla risata. E ridere è oggi l’ultima cosa che hanno voglia di fare, nel Regno Unito.
Il voto di ieri sera — la nuova disfatta parlamentare di Theresa May, la seconda in meno di due mesi — è devastante. Prima che politico e giuridico, il dramma inglese è psicologico. Molti — la maggioranza, ormai — si rendono conto di essere stati ingannati, nel 2016: dalle falsità di chi proponeva la Brexit e dalla sciatteria di chi la rifiutava, David Cameron in testa (ora è in giro per il mondo a tenere conferenze ben pagate, come se la cosa non lo riguardasse). Nessuno sa come andare avanti — uscire dall’Unione Europea senza un accordo? chiedere una proroga? — e nessuno sa come tornare indietro. Indire un secondo referendum? E su cosa, di preciso?
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