Di Maio in trincea sul caso dipendenti in nero: “Ho lavorato per mio padre ma ero in regola”

ANDREA CARUGATI
ROMA

«Ho lavorato per l’azienda di mio padre regolarmente». Luigi Di Maio, ospite a DiMartedì, cerca di allontanare da sé il sospetto di essere uno dei lavoratori in nero dell’azienda edile di famiglia. Ma la partita resta aperta in attesa delle carte. «Esibirò le buste paga e tutte le certificazioni», promette. E prende le distanze «dai comportamenti di mio padre, non da lui a cui voglio bene». Quanti erano i lavoratori in nero? «Mi dispiace che mio padre non mi abbia avvertito che non era uno solo ma ce n’erano altri. Io posso chiedere a un padre cosa ha fatto nella vita, ma non sempre i padri lo dicono ai figli». «Non voglio scaricare mio padre», precisa più volte il ministro del Lavoro. «Non conoscevo lo status dei lavoratori nel periodo tra il 2008 e il 2010 e allora non pensavo certo che avrei fatto il parlamentare».

Di fronte alle domande di Giovanni Floris, Mario Calabresi, Lucia Annunziata e Maurizio Molinari, Di Maio cerca di smontare il parallelismo tra i guai dei padri di Renzi e Boschi e quelli del suo. «Boschi da ministro si rivolgeva a dirigenti della Consob e di banche per aiutare la banca del padre. Io non sto aiutando mio padre a coprire le vicende dell’azienda, anzi io cerco le carte e le porto. Mi sarei comportato come la Boschi se da ministro avessi utilizzato l’ispettorato del lavoro per coprire mio padre».

Di Maio afferma che se avesse saputo dei lavoratori in nero «non avrei tenuto nascosta la cosa». Quanto all’azienda, spiega, «in questo momento non sta lavorando e io e mia sorella la chiuderemo a breve, entro l’anno». Su La 7 si parla anche di un terreno di famiglia, con un fabbricato che non sarebbe, secondo «Il Giornale», registrato al catasto. «C’è un rudere colpito dal terremoto dove mio padre viveva con gli zii, e altri edifici sgarrupati. Si vedrà se è accatastato». Sul terreno penderebbe un’ipoteca: «Probabilmente finirà all’asta», spiega il vicepremier. Quanto all’azienda, ieri sera le Iene hanno parlato di altri tre lavoratori in nero tra il 2008 e il 2010, prima che Di Maio diventasse socio.

 

 

In difesa del capo politico si schiera via Facebook Alessandro Di Battista: «Renzi e Boschi sono animali politici estinti e hanno la faccia come il c… per quello che sono riusciti a dire. Uno che faceva la scena e diceva: “Chiedi scusa” a Di Maio, ma scusa di cosa? L’altra sembrava una delle gemelline di Shining. Il punto non sono i padri, il punto sono i figli». «Paragoni col caso Di Maio? Il problema è che Renzi ha scelto un amico del padre, Verdini, per trasformarlo in padre costituente, noi per fortuna lo abbiamo fermato», attacca Di Battista. E mena fendenti a Boschi: «Da ministra andava a fare il giro delle sette chiese per provare a salvare la banca di famiglia». Quanto a Di Maio, «stanno facendo il giochetto per provare a dividerci e indebolirci, ma siamo amici fraterni. Lui per me è un esempio, è migliore di me per coraggio e abnegazione».

 

Boschi risponde a tono: «Dalle volgarità dette da Di Battista capisco che in famiglia il fascista non è solo suo padre. Hanno scaricato quintali di fango su di me per mio padre, che non è mai stato condannato. E adesso giustificano chi sfrutta il lavoro in nero e fa i condoni. Hanno fatto una campagna contro di me basata sulle fake news e adesso che la verità viene a galla passano agli insulti»

 

Renzi, dal canto suo, insiste nel chiedere al ministro del Lavoro di riferire in Parlamento sulle vicende dell’azienda familiare. «Noi siamo contro il lavoro nero, contro l’evasione, contro gli abusi edilizi. L’imprenditore Di Maio non può dire altrettanto. Ma il politico Di Maio da che parte sta?».

 

«Non commento le cose che non conosco», si chiama fuori Matteo Salvini. « Però quando si tira in ballo, per polemica politica, la vita privata e familiare secondo me si sbaglia. Poi se ci sono stati degli errori ognuno risponderà dei suoi errori». Nella querelle interviene anche Nicola Conte, padre del premier: «Di Maio ha già detto che il padre ha sbagliato, che deve fare più?», risponde a Un Giorno da Pecora. «È un fatto che finirà, sono cose che capitano».

LA STAMPA

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