Manovra, Mattarella autorizza la trasmissione del testo alle Camere

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato l’autorizzazione alla trasmissione alla Camere del disegno di legge di Bilancio. “Ho inviato a Montecitorio la Manovra del popolo. Sono orgoglioso di consegnare un testo che contiene le misure per rilanciare la crescita. Grazie a questo provvedimento finalmente al centro ci sono i cittadini. Il cambiamento è realtà”, ha annunciato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro.

Confermate le risorse per reddito e quota 100 – Al termine di una gestazione durata quindici giorni, i 108 articoli della Manovra, dopo la firma del capo dello Stato, arrivano al Parlamento: tra il 29 e il 30 novembre è previsto che il ddl approdi in Aula alla Camera. Ma se è vero che viene confermato lo stanziamento di 16 miliardi per le due “bandiere” di M5s e Lega, reddito di cittadinanza e quota 100, come e quando le misure partiranno è ancora tutto da scrivere.

Sul governo pesa il giudizio dell’Ue – Così come è aperta la discussione su interventi divisivi come il taglio alle pensioni d’oro. Sul governo pesa come un macigno la probabile procedura d’infrazione dell’Unione ma anche la stima di Bankitalia di 5 miliardi d’interessi in più da pagare nel 2019 come effetto dell’impennata dello spread. Chiuso il testo, il governo prova a stringere i tempi della risposta a Bruxelles: la replica ai rilievi dell’Ue sulla Manovra dovrebbe arrivare a inizio settimana prossima. Non dovrebbero esserci stravolgimenti, ma la possibile assicurazione di un contenimento del deficit anche con uno slittamento di riforma delle pensioni e reddito di cittadinanza a maggio 2019.

Conte e Tria dialogano con Bruxelles – “Stiamo lavorando per far crescere il Paese, avanti così”, dichiara il premier Giuseppe Conte dopo aver chiuso il testo. “Andare avanti” è del resto il mantra dell’intero governo, da Luigi Di Maio a Giancarlo Giorgetti. Bisogna fare deficit, spiega Giovanni Tria, per combattere la “grande depressione”. Ma il ministro sostiene, come già nei giorni scorsi fonti di via XX Settembre e di Palazzo Chigi, che il deficit alla fine sarà più basso del previsto (non il 2,4% ma il 2% secondo alcune stime), anche perché il 2,4% è stato calcolato su una crescita “tendenziale” allo 0,9% e non su quella stimata dal governo come effetto della manovra, all’1,5%. Ma questa interpretazione, su cui Conte e Tria starebbero basando la loro interlocuzione con Bruxelles, non regge secondo il Pd: “Il deficit è deficit”, taglia corto l’ex ministro Pier Carlo Padoan.

M5s irremovibile su modifiche, Lega più accomodante – In ogni caso, osservano dallo stesso governo, queste stime e pure le clausole per contenere la spesa inserite nel testo, rischiano di non bastare all’Ue. Nel governo, leghisti e pentastellati si mostrano spazientiti dal nuovo allarme su spread e conti lanciato da Bankitalia: la strada è già assai stretta, se si alzano i toni si rischia di irrigidire ancor di più i falchi della maggioranza che vogliono andar dritti senza cambiare neanche una virgola. E invece, tuttora i “dialoganti” sostengono che qualcosa bisognera’ cambiare. E cambiare si puo’ solo a partire da quota 100 e reddito di cittadinanza. Sono possibili slittamenti rispetto all’avvio previsto per marzo 2019? “Le misure partiranno quando sarà tutto pronto”, risponde sibillino Giorgetti. E l’allarme in casa M5s cresce: i leghisti, che studiano di ridurre l’impatto di “quota 100” sul 2019, non escludono di inserire la misura in Manovra con un emendamento. Ma Di Maio tiene la guardia alta: quota 100 e “reddito” – avverte – devono marciare insieme. Non esiste, come sibiliano i leghisti, che il reddito parta dopo.

Insofferenza tra i due partiti della maggioranza – L’insofferenza tra alleati è palpabile nelle dichiarazioni: “Se governassi da solo potrei fare le cose più velocemente”, afferma Matteo Salvini. Alfonso Bonafede risponde: “Se facessimo da soli non ci sarebbe stata la pace fiscale”. La Lega ha disertato anche il vertice notturno di martedì a Palazzo Chigi per chiudere il testo: “Siamo stanchi delle continue richieste del M5s e delle loro beghe col Mef”, dice una fonte. E in effetti la riunione notturna non scioglie tutti i nodi: solo una mediazione di Conte chiude il braccio di ferro tra Danilo Toninelli e Tria sulla cabina di regia sugli investimenti. Ma viene rispedita al mittente la richiesta del ministro, in asse con Virginia Raggi, di assegnare 180 milioni a Roma per riparare le buche. E neanche la misura cara ai pentastellati delle pensioni d’oro per ora vede la luce.

Il caso del tecnico del Mef e della manina per la Croce Rossa – Nel mirino torna anche il capo di Gabinetto del Tesoro Roberto Garofoli: un articolo su suoi presunti legami con la Croce Rossa, su cui Garofoli annuncia querela, riporta sugli scudi il M5s. Secondo l’articolo il tecnico del Mef avrebbe comprato una casa a un prezzo agevolato da Cri e, in seguito, avrebbe inserito una norma, nella Manovra, a favore dell’associazione con risorse per 84 milioni di euro. Norma poi stralciata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Tornano così le voci di dimissioni del “super tecnico” del Mef subito dopo l’approvazione della legge di Bilancio.

TGCOM

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