Asta Btp, tassi in netta crescita. Lo spread sale a 285 punti base. Timori per l’Argentina

di RAFFAELE RICCIARDI

MILANO – Cresce lo spread tra Btp e Bund tedeschi sopra 280 punti base nel giorno in cui il Tesoro subisce dal mercato la richiesta di rendimenti più alti per sottoscrivere i titoli di Stato italiani. Una escalation cominciata con la crisi istituzionale di maggio, poi risolta dalla nascita del governo Conte, ma senza che sul mercato dei titoli di Stato sia mai arrivata una reale distensione.

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Via XX Settembre ha registrato sì una buona domanda all’asta di Btp odierna, ma ha dovuto alzare la posta in palio per i sottoscrittori: nel caso del titolo decennale si è registrato un incremento del rendimento di 37 punti base rispetto all’asta precendente, per arrivare al 3,25%. Era dal maggio 2014 che non si superava la soglia simbolica del 3%. Il nuovo titolo a cinque anni, invece, è stato assegnato per 3,75 miliardi al 2,44% con 63 punti base di crescita. In quest’ultimo caso la domanda ha più che doppiato l’offerta, mentre sui dieci anni il rapporto di copertura è stato di 1,37. La crescita del differenziale è ben evidente se si rapportano questi risultati a quanto avvenne sulle stesse scadenze nell’asta di aprile, prima dell’esplosione degli spread. Rispetto ad allora, sulle due scadenze emesse oggi lo Stato spenderà un centinaio di milioni in più di interessi l’anno.

Dopo l’asta, sul mercato secondario i rendimenti dei decennali si sono adeguati e sono saliti al 3,21%, per un differenziale col bund tedesco di 285 punti base in chiusura di giornata. Domani Fitch potrebbe poi rivedere il rating dell’Italia e, come anticipa Repubblica oggi in edicola, le considerazioni dell’agenzia sul debito pubblico non sono ottimistiche. Il rischio numero uno è che la rincorsa alle promesse elettorali faccia deragliare i conti pubblici: “È aumentata la possibilità che si perdano di vista gli obiettivi di finanza pubblica e si è ulteriormente indebolita la prospettiva di riforme strutturali, il rischio principale è che l’espansione fiscale faccia saltare le dinamiche del debito”, dicono gli esperti.

Rep

L’euro chiude in calo sotto quota 1,17 dollari. La moneta unica passa di mano a 1,1658 dollari e a 129,86 yen. Dollaro/yen a 111,39.

Quanto ai mercati finanziari, prevale la debolezza suggerita anche dalle vicissitudini di Argentina e Turchia. Milano termina la seduta sui minimi e perde l’1,28%: alla fine cede anche Atlantia, che in mattinava rimbalzava. Buone notizie invece per l’Eni, il cui rating è stato alzato da S&P ad A-. Londra segna un passivo dello 0,62%, Francoforte dello 0,54% e Parigi dello 0,42%. Shanghai ha chiuso in calo di oltre l’1%. Wall Street, reduce dalla quarta seduta record di fila, tira il fiato e tratta in rosso: alla chiusura dei mercati europei il Dow Jones perde lo 0,44%, lo S&P500 lo 0,3% e il Nasdaq lo 0,14%. Gli investitori hanno risentito anche delle parole di accusa che Donald Trump ha lancianto verso la Cina, rea a suo dire di minare i rapporti tra Usa e Corea del Nord per il disarmo nucleare. Sullo sfondo ci sarebbe la disputa sul fronte commerciale tra Washington e Pechino, ma gli osservatori lo prendono come un segnale di rinnovata tensione. Tokyo ha segnato una chiusura piatta con un guadagno limitato allo 0,09%. Si tratta comunque dell’ottava seduta di fila della piazza asiatica con segno positivo.

A livello internazionale si torna a guardare con preoccupazione all’Argentina, dove il peso ha toccato un nuovo minimo record contro il dollaro dopo che il presidente Mauricio Macri ha chiesto all’Fmi di accelerare l’esborso di finanziamenti previsti nel bailout da 50 miliardi di dollari siglato a giugno. Il peso è arrivato a cedere l’11% contro il dollaro, che ne compra quasi 38 unità. Il rendimento del bond decennale argentino è balzato di 40 punti base sopra il 10%. La direttrice del Fondo, Christine Lagarde, ha assicurato che la tempistica d’intervento sarà rivista: “Ho fiducia nell’impegno e nella determinazione delle autorità argentine”, che sarà essenziale per traghettare l’economia “in queste difficili circostanze” e che alla fine “rafforzerà però l’economia” del paese. La Banca centrale ha adottato una misura drastica alzando del 15% i tassi ufficiali, al 60%. Soltanto 17 giorni fa l’istituto si era impegnato a tenere i tassi fermi fino almeno ad ottobre. Intanto il presidente Usa, Donald Trump, ha siglato le esenzioni dai dazi su alluminio e acciaio per la stessa Argentina, insieme a Corea del Sud e Brasile. L’insieme delle notizie affossa Tenaris in Borsa, una delle società italiane maggiormente esposte al mercato sudamericano. Alle notizie sull’Argentina si aggiungono quelle sulla Turchia, con la lira che amplia i suoi cali su voci secondo cui il vice governatore della Banca centrale se ne andrà; ciò non fa che alimentare i timori per la mancanza di indipendenza dell’istituto.

Asta Btp, tassi in netta crescita. Lo spread sale a 285 punti base. Timori per l'Argentina

La giornata macro segnala che in Germania la disoccupazione di agosto è stata del 5,2%, in linea con le attese, mentre l’inflazione ad agosto si attesta al 2,%, stesso valore registrato a luglio e in linea con le attese. Anche in Spagna l’inflazione è stabile, al 2% ad agosto, mentre in Italia Istat ha tracciato un aumento dello 0,7% del fatturato dei servizi, in accelerazione nel secondo trimestre rispetto al primo periodo dell’anno. Calo maggiore del previsto della fiducia delle imprese e dei consumatori nell’Eurozona. Ad agosto l’indice che misura il sentiment generale dell’economia si è attestato a 111,6 punti, in ribasso dai 112,1 del mese precedente e sotto le attese degli analisti che erano per un livello a 111,9 punti. Dalla sponda americana si segnala il dato migliore delle stime delle nuove richieste settimanali dei sussidi alla disoccupazione, salite di 3mila a quota 213mila, mentre l’inflazione core Pce a luglio si è mostrata in linea con l’obiettivo Fed del +2% annuo. Infine i redditi personali sono saliti dello 0,3% a luglio, come atteso, e le spese dello 0,4%. In Giappone le vendite al dettaglio di luglio sono cresciute dello 0,1%, poco sotto le attese e in notevole rallentamento dal +1,5% di giugno.

Per le materie prime, infine, i prezzi del petrolio corrono a New York sopra i 70 dollari al barile con il Wti, dopo la diffusione ieri dei dati sulle scorte Usa. In lieve calo invece l’oro, che segna 1.204 dollari l’oncia. “Nelle ultime sedute abbiamo assistito ad un veloce recupero delle quotazioni del lingotto”, annota Carlo Alberto De Casa di ActivTrades. “Alla base della rimonta del metallo prezioso troviamo senz’altro la discesa della banconota verde, da sempre inversamente correlata con il metallo prezioso. Le parole di Powell, Governatore della Fed, relative ad una certa gradualità nei prossimi rialzi dei tassi di interesse (in particolare per il 2019) hanno riportato un certo entusiasmo sul metallo giallo, dopo sei settimane consecutive di forti vendite che avevano spinto la quotazione ai minimi da 20 mesi in area 1.160 dollari”. Secondo l’esperto, “il trend di fondo appare ancora impostato al ribasso, ma se le quotazioni dovessero reggere oltre la soglia dei 1.200 dollari, potrebbe esserci spazio per ulteriori rimbalzi. E’ curioso notare come negli ultimi mesi il dollaro abbia in qualche modo provato a sottrarre all’oro il ruolo di bene rifugio, con gli operatori che hanno puntato sulla banconota verde, anche per via dei crescenti tassi pagati dalla Fed e dai bond americani. In altre parole l’oro non ha beneficiato delle tensioni geopolitiche, patendo la forza del dollaro ed il fatto di non distribuire cedole o dividendi. Nel momento in cui le borse dovessero frenare in modo più significativo, lo scenario potrebbe cambiare radicalmente”.

REP.IT

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