Pd, dove sta il coraggio

MARIO CALABRESI

NON ESISTE un solo motivo razionale per spaccare il Pd. Sarebbe una scelta irresponsabile che la stragrande maggioranza degli elettori del più grande partito della famiglia socialista rimasto in Europa non comprende e non comprenderebbe.

Viviamo tempi davvero difficili, in cui le democrazie e la coesione sociale sono sempre più fragili, tempi di polarizzazione e barbarie, di muri, di paure e rabbia. Tempi che richiedono generosità, pazienza, capacità di alzare lo sguardo e coraggio. Il coraggio, prima di tutto, di mettere da parte gelosie, rancori antichi, calcoli di piccola bottega e ridicole prove di forza.

Dividere un partito che governa città, regioni e che guida l’Italia significa soltanto una cosa: consegnare il Paese alla sfida tra una destra che non nasconde le sue pulsioni xenofobe e un Movimento che cavalca qualunque malumore speculando sulla rabbia e sull’esasperazione. Di questo porteranno la responsabilità Matteo Renzi, Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema. I danni della loro guerra intestina, della loro incapacità di trovare una sintesi sono sotto gli occhi di tutti.

Farebbero bene a non scambiare il silenzio dei loro elettori per assenso, quel silenzio è invece pieno di preoccupazione, di angoscia, di smarrimento. Farebbero bene a non calcolare possibili vantaggi elettorali contando su quelle donne e quegli uomini, perché molti di loro non li seguiranno, né da una parte né dall’altra. E a nessuno interesserà il rimpallo delle accuse.

Non vincerà questa sfida chi terrà il punto fino all’ultimo, chi si mostrerà più risoluto e deciso, ma chi sarà capace di un gesto di apertura, di generosità e di composizione. Lasciate stare le vostre aritmetiche e aprite gli occhi, guardatevi in giro, uscite di casa, alzatevi da quei tavoli su cui fate strategie perdenti e mettetevi in ascolto. Basterebbe una passeggiata di un’ora per capire, basterebbe osservare il piano inclinato su cui sta scivolando il continente per rinsavire.

Rimettete insieme una forza degna di questo nome, in cui ci sia spazio per il pluralismo e il rispetto reciproco, e non sprecate quest’ultimo anno di governo. Non per fare campagna elettorale ma per dare risposte alla disperazione dei giovani, alla richiesta di sicurezza (mostrando che è possibile coniugare legalità e umanità) e per completare un programma di diritti sociali che rischia di perdere l’ultimo treno.

Un compromesso alto è possibile se i contendenti faranno un passo indietro. In questo senso la prima responsabilità dovrebbe averla Matteo Renzi. Spetta prima di tutto a lui il compito di tenere unito il suo partito, lui deve farsi carico delle esigenze di un grande movimento in cui devono coesistere sensibilità diverse. È lui che deve avere l’elasticità di rappresentare le diverse culture presenti nel Pd. È il segretario del partito che ha l’onere di trovare in prima istanza una soluzione che rimetta i democratici in condizione di essere vincenti e un punto di riferimento culturale e sociale per il Paese. Ed è dovere della minoranza non arroccarsi dietro la rigidità delle richieste. Soprattutto non può permettersi di lasciarsi accecare dalla voglia di una resa dei conti finale né chiedere a Renzi di rinunciare alla ricandidatura per la segreteria.

Il popolo della sinistra a cui dovete le vostre fortune vi guarda, vi osserva forse per l’ultima volta, perché non c’è dubbio che se romperete vi volterà le spalle, lasciandovi al vostro destino e alle vostre responsabilità storiche.

REP.IT

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