M5s a Roma, Di Maio fu garante di Marra. La prova è nelle chat: “È servitore dello Stato”

CARLO BONINI

ROMA – Luigi Di Maio ha mentito su Raffaele Marra, ex capo del personale del Campidoglio, detenuto da cinquanta giorni a Regina Coeli perché accusato di corruzione. E su almeno due circostanze. Che Repubblica è ora in grado di documentare. Non è vero che lo incontrò il 6 luglio 2016 nei suoi uffici alla Camera “per cacciarlo”, come ha sostenuto nella sua intervista televisiva di domenica scorsa a Lucia Annunziata nel suo “In ½ ora”, sollecitato sulle domande poste da questo giornale nei giorni scorsi.

Non è vero che fu l’ostinazione della sindaca Virginia Raggi a impedirne l’allontanamento. E’ vero piuttosto il contrario. Perché, ancora il 10 agosto 2016, oltre un mese dopo il loro incontro e nel pieno dello scontro interno al minidirettorio che ne chiedeva la testa, Di Maio sollecitava Marra a resistere perché “servitore dello Stato”.

La prova della falsità della ricostruzione proposta da Di Maio sul ruolo politico che ha svolto nell’affaire dei “quattro amici al bar” è in due chat telefoniche, il cui testo è stato ottenuto da Repubblica . Entrambe datate 10 agosto 2016 e custodite nella memoria dello smartphone di Raffaele Marra sequestrato al momento del suo arresto. Di entrambe, l’avvocato Francesco Scacchi, legale di Marra, conferma l’esistenza, rifiutando tuttavia garbatamente ogni commento nel merito. Se non per ribadire che il suo assistito “parlerà, parlerà di tutto, perché ha intenzione di farlo e non ha cambiato idea”. “Ma solo quando sarà messo in condizione di conoscere con esattezza il materiale istruttorio raccolto dalla Procura” nell’indagine che lo vede indagato con la Raggi per abuso di ufficio. Il che significa non oggi, come chiesto dalla Procura, né comunque prima del deposito degli atti a conclusione dell’indagine.

E veniamo alle due chat, dunque. E’ – come si diceva – mercoledì 10 agosto 2016. Quel giorno, in Campidoglio, è in calendario la votazione in Aula Giulio Cesare della mozione di sfiducia dell’allora assessore all’ambiente Paola Muraro presentata dalle opposizioni (verrà respinta con 24 no). Ma, soprattutto, sono quelli i giorni dell’incrudelirsi del dibattito interno al minidirettorio M5S aperto dalle nomine con cui la Raggi ha definito il ruolo del suo cerchio magico, degli “amici al bar”. Salvatore Romeo, capo della segreteria. Daniele Frongia, vicesindaco. Raffaele Marra, vicecapo di gabinetto.

Per questo, Marra è nervoso. Di più. Ossessionato da quello che, da settimane, percepisce come uno stillicidio sulla sua persona. Alimentato soprattutto dal “fuoco amico” della componente lombardiana del M5S, che chiede il suo immediato allontanamento dalla stanza dei bottoni del Campidoglio. Alle 8 52 minuti e 42 secondi di quel mercoledì mattina, la sindaca, il cui nickname di chat è “Mio Sindaco”, apre con un emoticon la conversazione: “:) Buongiorno”. Marra le risponde dopo un quarto d’ora. Con un riferimento alla prova dell’aula di quel giorno. “Buongiorno. In bocca al lupo per oggi”. “Grazie”, risponde lei.

Marra fa passare qualche ora e, alle 13 11 minuti e 6 secondi, rientra in chat per un lunghissimo messaggio di sfogo. Che, oggi, diventa cruciale per ricostruire non solo quali fossero in quel momento i rapporti di forza tra gli “amici al bar”, ma, soprattutto, per documentare quale ruolo politico di copertura avesse prestato Luigi Di Maio e quanto sia dunque posticcia la versione dei fatti offerta domenica scorsa alla Annunziata.

Scrive Marra alla Raggi: “Vorrei anche ricordarti che ho manifestato la mia disponibilità a riprendere l’aspettativa sin dal giorno in cui ho incontrato il vice presidente Di Maio a cui manifestai la mia disponibilità a presentare l’istanza qualora non fossi stato in grado di convincerlo, carte alla mano, sulla mia assoluta correttezza morale e professionale. L’incontro, come sai, andò molto bene, tanto che lui mi disse di farmi dare da te i suoi numeri personali. Cosa che per correttezza non ho mai fatto. Pensavo che quell’incontro potesse rappresentare un punto di svolta. Evidentemente mi sbagliavo”.

Il testo è chiaro. L’incontro del 6 luglio tra Marra e Di Maio era stato tutt’altro che la sgradevole occasione per un licenziamento (come vorrebbe l’avventurosa ricostruzione del vicepresidente della Camera). E non solo perché questa fu la percezione di Marra. Ma perché che così fossero andate le cose è la stessa Raggi a saperlo. Non fosse altro perché è difficile immaginare Di Maio che nel “cacciare” un dirigente capitolino lo invita contestualmente a farsi dare i propri numeri personali dalla sindaca. A che scopo, se non quello di dimostrargli piena fiducia e massimo accesso confidenziale?

Certo, si potrebbe dire: Marra, in quei messaggi, millanta. Racconta cose non vere dell’incontro del 6 luglio. Accredita, pro domo sua, una versione dei fatti dove la parola dell’uno (Di Maio) vale quanto quella dell’altro (Marra). E, dunque, sarebbe arbitrario, o comunque opinabile, caricare Di Maio di un ruolo politico di “protezione” di cui non esisterebbe la prova regina. Anzi, lo sconforto di Marra potrebbe essere la prova che proprio Di Maio lo avesse mollato. E, tuttavia, è la seconda chat in possesso di Repubblica che fa piazza pulita anche di questa (generosa) ipotesi. Per tranquillizzare Marra e convincerlo a resistere perché ha ancora il pieno appoggio di Di Maio, la Raggi, alle 15 48 minuti e 50 secondi di quel mercoledì 10 agosto, gli gira infatti, inoltrandoglielo, un sms che ha ricevuto proprio dal vicepresidente della Camera. Anche questo di un’evidenza solare. Dove alle parole può essere difficilmente dato un significato alternativo a ciò che documentano. Con il senno di poi, un azzardo quello della sindaca. Perché quel messaggio rimane nella memoria dello smartphone che verrà sequestrato al momento dell’arresto.

Scrive Di Maio alla Raggi: “Quanto alle ragioni di Marra, lui non si senta umiliato. E’ un servitore dello Stato. Sui miei, il Movimento fa accertamenti ogni mese. L’importante è non trovare nulla”. “Un servitore dello Stato”, cioè uno dei miei. Non male per un tipo che, a suo dire, aveva “cacciato” il 6 luglio.

REP.IT

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