I limiti dei populisti

Vi sono Paesi della Unione Europea (la Grecia, l’Italia, ma anche, per qualche aspetto, la Francia) che sembrano incapaci di rispettare i parametri fissati dal Trattato di Maastricht sul livello consentito del debito e del deficit. I rimedi sono noti e sono quelli che la Commissione di Bruxelles ricorda pazientemente ogni anno ai loro governi: ridurre la spesa pubblica soprattutto in materia di previdenza, sanità e altre elargizioni clientelari. Ma se questi rimedi venissero accettati e applicati, i primi a trarne vantaggio, nelle prossime elezioni, sarebbero le opposizioni nazionaliste e populiste. Durante la campagna elettorale non mancherebbero di denunciare il trattamento «inumano» delle istituzioni europee e l’atteggiamento «servile» di coloro che non hanno il coraggio di respingerne i diktat.

Nell’interesse della costruzione europea, quindi, i Paesi che rispettano Maastricht, e hanno i conti in ordine, dovrebbero adottare una linea più comprensiva e conciliante. Se lo facessero, tuttavia, diventerebbero anch’essi bersaglio dei loro rispettivi movimenti nazionalisti e populisti. Il caso della Germania è particolarmente eloquente. Il governo tedesco ha un forte interesse a preservare un’Europa di cui ha bisogno per evidenti ragioni politiche ed economiche. Ma Angela Merkel sa che ogni cedimento alle esigenze delle imprevidenti cicale europee aumenterebbe il consenso popolare del movimento nazional-populista di Afd (Alternative für Deutschland).Le stesse considerazioni valgono per altri Paesi dell’Unione Europea.

Siamo quindi, apparentemente, in una trappola. I membri della Ue hanno esigenze diverse, ma uno stesso nemico, il nazionalpopulismo, che può colpire contemporaneamente tutti (cicale e formiche) anche se con motivazioni diverse. Vi è tuttavia in questa asimmetria un fattore che può giovare alla nostra causa. Mentre noi, bene o male, siamo uniti dalla appartenenza alle stesse istituzioni, nell’altro campo non esiste una Internazionale populista capace di mettere all’opera contro la Ue una stessa strategia. Non può esistere perché i movimenti populisti sono tutti nazionalisti e quindi incapaci di formulare una strategia comune. Marine Le Pen, nel suo discorso di Lione, ha detto che intende denominare in franchi francesi i 1700 miliardi di euro a cui ammonta il debito pubblico del suo Paese: ma le maggiori agenzie finanziarie internazionali prevedono, in questo caso, una colossale insolvenza. Beppe Grillo ha ribadito che il suo movimento, quando andrà al governo, proporrà agli italiani un referendum sull’euro; ma non ci ha detto come verrebbero pagati i debiti internazionali in euro degli italiani. La Signora May ci ha detto che Brexit è Brexit; ma nei sei mesi passati dalla formazione del suo governo non ci ha ancora detto come si fa a uscire dal Mercato Unico senza perdere i vantaggi commerciali che garantisce ai suoi membri.

Fare l’Europa, in queste circostanze, richiede certamente una straordinaria combinazione di ingegno, fantasia e pazienza. Ma nessuno dei suoi nemici ci ha ancora detto come si fa a disfare quello che siamo riusciti a costruire nei sei decenni passati dalla firma dei Trattati di Roma.

CORRIERE.IT

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