Archive for Marzo, 2023

Case occupate, cinquantamila alloggi “rubati” ai cittadini: le cifre di una barbarie

giovedì, Marzo 30th, 2023

Christian Campigli

Un problema tanto grande quanto sottovalutato. Che, in un recente passato, ha rovinato l’esistenza a migliaia di famiglie. E ha cambiato, profondamente, il mercato immobiliare. Le occupazioni abusive di alloggi, pubblici e privati, sono un autentico cancro presente con numeri incredibili nel nostro Paese. Uno scenario da incubo, sul quale la sinistra, da sempre, si gira dall’altra parte nella migliore delle ipotesi, si dimostra comprensiva e spesso connivente con chi prende con la forza ciò che non è suo. In questi casi, i numeri descrivono meglio di mille parole la realtà. Solo a Roma, almeno secondo i dati diffusi da Confedilizia, gli alloggi occupati sarebbero quasi settemila, dodicimila le persone che vivono nell’illegalità abitativa. Ma non basta: nella Capitale ci sarebbe un edificio occupato da oltre quattordici anni. A Catania sono circa un centinaio le occupazioni di immobili di edilizia pubblica, duecento quelle di Genova, tremila gli appartamenti occupati abusivamente a Palermo, diciannove gli immobili a Venezia. Non solo, a Reggio Calabria risultano centodieci alloggi occupati abusivamente da famiglie rom. A Firenze, per anni, il Movimento di Lotta per la Casa ha dettato legge. E ha occupato, senza sosta, alloggi, case e fondi rimasti sfitti. Vi è stato un momento nel quale, nella sola via Baracca, vi erano ben diciassette occupazioni abusive. In una sola strada.

A Salerno quattro case popolari su cento sono abitate da persone che non hanno alcun diritto di restare in quell’immobile. In Piemonte, secondo i dati diffusi dalla Commissione Urbanistica del Consiglio Regionale, sono duecentotrenta le case occupate. E in quelle assegnate regolarmente un utente su tre non paga l’affitto. Secondo le stime più recenti di Federcasa gli appartamenti di Edilizia Residenziale Pubblica occupati abusivamente sono oltre trentamila. Ci sono poi migliaia di appartamenti privati o appartenenti a enti nella medesima situazione. In totale, si calcola che il numero di case occupate sia di circa cinquantamila. A questa realtà completamente distorta va aggiunto un elemento di grande importanza per poter capire la clamorosa portata del fenomeno. I tempi per sfrattare chi occupa o chi smette di pagare l’affitto sono biblici. Si va da un minimo di due anni fino a sei, sette se quella famiglia ha dei figli minori a carico. Questa lentezza ingiustificata, in città turistiche come Roma e Firenze, ha portato ad un cambiamento radicale del mercato immobiliare. Il novanta per cento delle case in affitto vengono usate oggi per il modello Airb/b, i cosiddetti affitti turistici. Tre giorni, una settimana al massimo. Più redditizi, ma, soprattutto, meno rischiosi.

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Meloni sente Draghi e lamenta l’ostilità dell’Ue verso Roma. I nodi Pnrr e migranti

giovedì, Marzo 30th, 2023

Sono giorni di grande agitazione a Palazzo Chigi. Dove da settimane sono alle prese con un paradosso e una nemesi Adalberto Signore 0

Meloni sente Draghi e lamenta l'ostilità dell'Ue verso Roma. I nodi Pnrr e migranti

Sono giorni di grande agitazione a Palazzo Chigi. Dove da settimane sono alle prese con un paradosso e una nemesi. Il primo sul Pnrr (con tanto di telefonata tra Giorgia Meloni e Mario Draghi), la seconda sul fronte sbarchi e immigrazione. Un binomio che nei giorni in cui si è insediato il governo – la premier e i suoi ministri hanno giurato lo scorso 22 ottobre – era difficile da immaginare così esplosivo. E sul quale, va detto, l’azione dell’esecutivo in questi cinque mesi ha un peso relativo.

Trattasi però di due dossier, per ragioni molto diverse, comunque centrali per la tenuta del governo.

Il primo, decisamente più politico, è condizionato da due fattori. Perché sulla tempistica di messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza (in totale 191,5 miliardi tra finanziamenti a fondo perduto e prestiti messi a disposizione dall’Ue) pesa evidentemente la programmazione decisa dal precedente esecutivo e il fatto che oggi la Commissione Ue chieda «chiarimenti» su tre interventi – concessioni portuali, impianti di teleriscaldamento e piani urbani integrati – vistati proprio dal governo guidato da Draghi. A cui nessuno a Bruxelles lo scorso anno aveva fatto appunti.

Ma che l’ex numero uno della Bce avesse un canale preferenziale con i vertici delle istituzioni Ue era più che scontato. E ne aveva contezza anche Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei e il Pnrr e primo ambasciatore di Meloni ai tavoli europei. Quello che neanche Fitto si immaginava erano le tensioni che Roma avrebbe prodotto con l’Ue su una serie svariata di fronti. Il primo è quello della ratifica del Mes, seguito dal nodo concorrenza-balneari (questione che a Bruxelles – a torto o a ragione – ritengono «fuori dal comprensibile») e infine dal dossier migranti (con annessa la tragedia di Cutro). Un mix che ha contribuito non poco a irrigidire la diplomazia europea, che per le vie brevi – sia con Ursula von der Leyen, sia con Paolo Gentiloni – da settimane fa presente la cosa a Palazzo Chigi.

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Gli irriducibili del reddito di cittadinanza: ecco chi lo difende ancora

giovedì, Marzo 30th, 2023

Lorenzo Grossi

Gli irriducibili del reddito di cittadinanza: ecco chi lo difende ancora

I difensori irriducibili del reddito di cittadinanza non spariscono mai. L’ultimo, in ordine, di tempo è tal Emiliano Fossi, deputato del Partito Democratico e membro della commissione Lavoro della Camera. Il parlamentare dem ha sfruttato la recente notizia del crollo delle domande per il rdc registrato dall’Inps per attaccare il governo Meloni e difendere lo strumento voluto dal Movimento 5 Stelle: “La Destra è riuscita nell’intento di spaventare gli italiani”, strepita Fossi. “Il reddito di cittadinanza si è rivelato estremamente utile per conseguire il miglioramento del welfare, per limitare gli effetti negativi della pandemia permettendo alle famiglie più fragili di sopportare il calo di reddito”. Ma c’è da dire che il deputato del Pd si ritrova in “buona” compagnia della difesa strenua del reddito.

La strenua difesa da parte dei 5 Stelle

A inizio marzo, infatti, è trapelata l’introduzione di “Mia”, la misura di inclusione attiva che metterà in soffitta il reddito di cittadinanza. Da quel momento in poi tante sono state le voci che si sono sollevate pur di non ammettere il fallimento della norma entrata in vigore nel 2019 per volere dei pentastellati. Del resto i dati parlano di un misero 8% di percettori del rdc che ha poi trovato lavoro. Senza contare i numerosi abusi e illegalità, agevolate dal provvedimento, che sono state portate alla luce in questi ultimi mesi. Eppure c’è chi non si arrende e, armato di elmo e scudo, insiste sul fatto di lasciare tutto com’è, ignorando il flop che il reddito si è rivelato. A partire dallo stesso M5s – ça va sans dire -, con Giuseppe Conte che parla di un taglio che “porterà al disastro sociale” e che potrebbe sfociare in vere e proprie “tensioni”. A fagli eco c’è naturalmente Beppe Grillo, secondo cui “il governo usa i poveri per fare cassa”. Posizioni simili sono state portate avanti anche da Alessandro Di Battista e dall’ex presidente della Camera Roberto Fico.

“Ha agevolato abusi e illegalità”. I numeri che smontano il reddito grillino

Non solo Movimento 5 Stelle, però. Anche il Partito Democratico del nuovo corso Schlein si sta battendo a spron battuto in sostegno del reddito di cittadinanza. Oltre a Fossi, infatti, c’è anche l’ex viceministro dell’Economia Antonio Misiani ad alzare la voce: “L’unico dato certo è che il governo Meloni ha tagliato del 20% i fondi contro la povertà dal 2024. Senza soldi, è come fare le nozze coi fichi secchi”, si dice certo il senatore dem. La Cgil ha espresso “preoccupazione e perplessità” anche per non essere “stati chiamati su una partita importante che richiederebbe un confronto approfondito” Secondo il sindacato guidato da Landini “la povertà è un fenomeno complesso, non basta la presa in carico dal punto di vista economico. C’è il disagio abitativo, la povertà educativa, ci vuole una presa in carico complessiva”. Ma naturalmente, dalla Cigl, manca un contro-proposta concreta.

Il taglio del reddito di cittadinanza

Secondo il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, “è un errore toglierlo a chi non ha il lavoro”: questo perché “l’Italia dovrà fare i conti con le direttive della Commissione Europea sul reddito minimo, consentire a coloro che pur non trovando il lavoro perdono il reddito”. Infine, tra i critici contro la contro-misura del governo Meloni c’è anche Chiara Saraceno, che ha presieduto il comitato scientifico per la riforma del reddito di cittadinanza durante il governo Draghi. Secondo la sociologa “prevale l’intento punitivo verso i poveri e persistono elementi controversi o inspiegabili”. Il taglio del 30% del sussidio ai percettori “occupabili” può essere spiegato da Saraceno solo in questo modo: “Affamare i poveri per spingerli a trovarsi un lavoro. Non voglio crederci”. Insomma: la misura di inclusione attiva non è ancora di fatto entrata in vigore, ma le vedove nostalgiche del reddito di cittadinanza restando saldamente in campo, a proteggere una porta oramai rimasta mestamente sguarnita.

IL GIORNALE

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L’arroganza francese sugli ex Br

giovedì, Marzo 30th, 2023

Gian Carlo Caselli

La mitica “grandeur” dei francesi può giocare anche dei pessimi scherzi. Per esempio, spingere a prese di posizione del tutto incompatibili con la logica e il buon senso. Per ispirarsi invece a una arrogante intolleranza, fino a cedere alla tentazione, evidentemente irresistibile, di insegnare a tutti gli altri (gli italiani in particolar modo) come si debba stare al mondo. Ecco così una inaspettata declinazione francese di quel “Marchese del Grillo” che sembrava essere una nostra esclusiva.

Sono queste le prime reazioni che suscita la notizia della conferma definitiva, da parte della Corte di Cassazione francese, della decisione (già presa dalla Corte d’Appello) di rifiutare l’estradizione di dieci terroristi italiani, protagonisti di violenze anche estreme negli “anni di piombo” che hanno a lungo impestato il nostro Paese.

Le motivazioni di tale grave decisione oscillano tra il paradossale e l’incredibile. Si sostiene infatti che l’estradizione avrebbe provocato un danno spropositato al diritto a una vita privata e familiare ormai stabilmente acquisita in Francia dagli estradandi. Così dimostrando una disumana insensibilità per i danni cagionati alla vita privata e familiare delle vittime delle azione terroristiche. Per non parlare delle sofferenze e del dolore che ancora oggi affliggono i familiari delle vittime (chiedendo scusa a quegli intellettuali nostrani che accusano il dibattito sul crimine organizzato di soffrire di “parentocentrismo”…).

E attenzione: senza che da parte dei terroristi da estradare vi sia mai stato un qualche segnale di pentimento o ravvedimento e men che mai una qualche manifestazione di solidarietà o intenzione di riparazione dei guasti causati.

Ancora più pretestuosa è la motivazione che si ricollega alla mancanza in Italia di un equo processo. Qui si avverte l’influenza di cattivi maestri riparati e coccolati in Francia, soprattutto se presentano il nostro Paese come un concentrato di obbrobri giudiziari. La vicenda di Cesare Battisti e le attenzioni che gli sono state riservate sono al riguardo illuminanti.

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Migranti: il piano del Viminale

giovedì, Marzo 30th, 2023

Grazia Longo

Stavolta a dare l’allarme dell’invasione di migranti sulle nostre coste è il ministro dell’Interno in persona. L’altro ieri, al consiglio dei ministri, Matteo Piantedosi ha annunciato che si prevede l’arrivo di oltre 400 mila persone entro la fine dell’anno.

Per questo ha presentato un “Piano d’azione” per affrontare e gestire l’emergenza, che in estate è destinata ad esplodere. E ora La Stampa è in grado di ricostruire i punti in cui si sviluppa il Piano. A partire dalla fotografia dell’afflusso, aumentato del 303%, dal 1 gennaio al 28 marzo, rispetto allo stesso periodo del 2022, fino agli interventi prioritari come «il controllo delle frontiere marittime tunisine attraverso pattugliamenti congiunti in mare e a terra e il potenziamento nell’area del porto di Sfax dell’attività di intelligence diretta a contrastare la costruzione e l’allestimento di navi e barchini da parte di organizzazioni criminali». Importante sarà, inoltre la collaborazione con i Paesi di origine dei migranti e la dichiarazione dello Stato di emergenza per l’isola di Lampedusa «che consentirebbe nell’immediato l’adozione di misure extra ordinem finalizzate a consentire il noleggio di assetti aerei e navali per il trasferimento dei migranti e la gestione dell’hotspot in deroga alla normativa vigente». Si punta, inoltre, ad creare nuovi centri di accoglienza sia a Lampedusa, sia a Pantelleria.

Ma prima di addentrarci ulteriormente nei dettagli, è utile ricordare che l’attenzione principale del Viminale è concentrata su Tunisia e Cirenaica (parte orientale della Libia dove domina la politica di Khalifa Haftar, che non controlla in alcun modo l’esodo dei migranti). Dal 1 gennaio al 28 marzo sono infatti arrivate 27.219 persone per la maggioranza provenienti proprio dalla Tunisia (15.537 ) e dalla Cirenaica (4.556). Le nazionalità più ricorrenti dichiarate dai migranti sono al momento dello sbarco sono: ivoriana, guineana, pakistana, bengalese, tunisina, egiziana, camerunense. La Sicilia, con 22.148 arrivi, si conferma la principale regione di sbarco seguita dalla Calabria (3.405).

Il Piano Piantedosi prevede dunque l’attuazione di una serie di attività che riducano le partenze e aumentino i rimpatri. Mentre il governo è impegnato «a rilanciare il dialogo strategico, di livello politico e operativo, con le autorità tunisine, anche attraverso il coinvolgimento della Commissione europea» si chiede di potenziare, come detto, il pattugliamento delle coste tunisine e l’impegno degli 007 per ostacolare la costruzione di navi e barchini. Sul fronte libico, occorre «raggiungere intese con le autorità che controllano la Cirenaica da cui si registra un incremento degli arrivi (da 2.891 nel 2022 a 4.556 nei primi tre mesi di marzo 2023) per un rafforzamento delle azione di prevenzione delle partenze».

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Pensione anticipata, come lasciare il lavoro nel 2023 (e non solo con Quota 103)

giovedì, Marzo 30th, 2023

di Massimiliano Jattoni Dall’Asén

Quota 41 è ancora lontana

Quota 103 è la via anticipata dal lavoro introdotta dal governo Meloni con l’ultima Legge di Bilancio e che fino al 31 dicembre di quest’anno consente il pre-pensionamento con 62 anni d’età e 41 di contribuzione, dunque con un anticipo del requisito anagrafico di ben 5 anni. L’obiettivo del governo era di mandare in pensione questo strumento alla fine del 2023, ma il confronto tra governo e parti sociali sulla riforma previdenziale langue e Quota 41, l’obiettivo di legislatura e cavallo di battaglia della Lega, sembra allontanarsi all’orizzonte e l’ipotesi di prorogare Quota 103 anche per il 2024 diventa sempre più concreta.
Al di là delle promesse elettorali, il problema, come sempre, è dato dalla copertura finanziaria. Quota 41, con cui si direbbe addio al lavoro con 41 anni di contributi e a prescindere dall’età, premierebbe i cosiddetti “lavoratori precoci”, ma secondo le stime dell’Inps costerebbe alle casse dello Stato più di 4 miliardi nel primo anno di attivazione, per salire fino a 75 miliardi nei dieci anni successivi. Troppi, anche per una buona parte della maggioranza.

La decisione in autunno

Il governo prenderà una decisione probabilmente con la prossima manovra, in autunno, e come detto, tra le ipotesi in campo, c’è dunque anche la proroga di un anno di Quota 103, come canale garantito per accedere alla pensione prima della soglia di vecchiaia (l’ultimo monitoraggio di Inps ha rivelato che più di 3 trattamenti su 10 sono assegni anticipati o prepensionamenti), in aggiunta a Ape sociale, Opzione donna e agli altri strumenti di prepensionamento previsti collegati alla «Fornero».
Vediamo allora come andare in pensione anticipata in attesa che la riforma veda la luce.

Quota 100

Ogni nuova «quota» ha mandato in soffitta quella precedente, ma non necessariamente i suoi effetti. Quota 100, introdotta con il decreto legge 4/2019 e in essere fino al 2021, è una pensione anticipata «mista» formata col sistema delle quote, ovvero della somma fra contributi ed età anagrafica. Scalzata da Quota 102, continua a essere valida, a condizione che il soggetto abbia comunque i requisiti richiesti, ovvero aver maturato entro il 31 dicembre 2021 un’età anagrafica di 62 anni e una contribuzione di 38 anni. Tali contributi possono essere sommati fra tutti quelli delle Gestioni Inps, ma non con quelli delle casse professionali.Questa pensione non prevede alcuna penalizzazione nel suo calcolo, ma attiva un divieto di cumulo reddituale, non previsto per le altre forme di pensionamento, per qualsiasi reddito di lavoro (fatta eccezione per 5.000 euro lordi annui di lavoro autonomo occasionale) fino all’età della pensione di vecchiaia.

Quota 102

Quota 102 è stata introdotta dal primo gennaio 2022, permettendo di accedere alla pensione anticipata con 64 anni di età e 38 di contributi. Si tratta di una soluzione individuata dal governo Draghi, con una sperimentazione annuale, per superare i tre anni di Quota 100, misura di bandiera della Lega ai tempi del governo giallo-verde. Quota 102 è scaduta alla fine dell’anno scorso, ma come nel caso di Quota 100, anche questo strumento resta valido nei prossimi anni purché si siano raggiunti età e contributi di cui sopra entro il 2022.

Le finestre di Quota 100 e Quota 102

Occorre ricordare che, sia per Quota 100 che per Quota 102, la pensione è soggetta alla cosiddetta «finestra» di attesa. Ossia la decorrenza di tre mesi dal raggiungimento dei requisiti, mesi che diventano 6 per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Ma se la domanda di pensione viene presentata molto tempo dopo il raggiungimento dei requisiti, la finestra di attesa non deve essere rispettata.

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Nuovo codice degli appalti, è scontro. Anac e Cgil: «C’è il rischio di voto di scambio»

giovedì, Marzo 30th, 2023

di Claudia Voltattorni

Nuovo codice degli appalti, è scontro. Anac e Cgil: «C'è il rischio di voto di scambio»

L’entrata in vigore prevista è il prossimo primo aprile, ma le norme saranno efficaci dal primo luglio. Un tempo giudicato troppo breve per riuscire ad adeguare tutta la macchina organizzativa e burocratica e permettere di far partire opere per miliardi di euro. Ma il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini è certo: «Sarà uno strumento di lavoro fondamentale per l’Italia nei prossimi anni».

A poche ore dalla sua approvazione, il nuovo Codice degli appalti licenziato martedì dal Consiglio dei ministri però fa già molto discutere.

Se dal mondo delle imprese viene apprezzata la semplificazione e la sburocratizzazione di molte procedure, pesanti attacchi arrivano da Anac e sindacati. L’Autorità anti-corruzione parla di luci — «la digitalizzazione che obbliga alla trasparenza» —, ma anche di «ombra» per la possibilità in particolare dell’assegnazione diretta o a inviti degli appalti fino a 5.382.000 euro. «Soglie troppo elevate — spiega il presidente Giuseppe Busia- per gli affidamenti diretti e le procedure negoziate rendono meno contendibili e meno controllabili gli appalti di minori dimensioni, che sono quelli numericamente più significativi».

Il rischio, dice, è che «sotto i 150.000 euro va benissimo il cugino o anche chi mi ha votato e questo è un problema, soprattutto nei piccoli centri».

Non è d’accordo Salvini che replica: «Più veloce è l’iter della pratica meno è facile per il corrotto incontrare il corruttore».

Non ne è affatto convinta invece la Cgil che teme perfino un ritorno «alle liste fiduciarie di Tangentopoli», dice Alessandro Genovesi della Fillea Cgil e il primo aprile scenderà in piazza con Feneal Uil e tutto il mondo edile. E non è esclusa la presenza anche del leader Maurizio Landini. «Il nuovo Codice riporta il Paese indietro di 30 anni vanificando la lotta alle mafie», attacca il segretario generale della Cgil Calabria Angelo Sposato. Ma Salvini liquida la protesta: «Se la Cgil annuncia una sciopero, vuol dire che il Codice è stato fatto bene».

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La partita da vincere sul Pnrr

giovedì, Marzo 30th, 2023

di Federico Fubini

Molte cose vanno riviste nei progetti presentati inizialmente in grande fretta. Ma c’è bisogno che finalmente operi la struttura centrale del Pnrr, spostata dal ministero dell’Economia a Palazzo Chigi, che presto dovrebbe disporre di 70 funzionari

La partita da vincere sul Pnrr
La sede della Commissioine europea a Bruxelles (Afp)

Il rinvio di un mese per il versamento della terza rata da 19 miliardi di euro non farà la differenza, nella storia del Piano di ripresa e resilienza dell’Italia. Se non altro, perché comunque quei fondi non sarebbero stati spesi nei prossimi trenta giorni. Probabilmente neppure nei prossimi sessanta o novanta. Dunque per il momento i 19 miliardi possono restare tranquillamente a Bruxelles per arrivare magari tra qualche settimana. Ci sono già altri 67 miliardi di fondi del Recovery che, in gran parte, attendono ancora sui conti del Tesoro in Italia. La Corte dei conti ha appena certificato che l’assorbimento delle risorse procede a rilento, appena il 12 per cento del totale fra il 2020 e il 2022.

Tuttavia, se siamo onesti, non è questo oggi il principale problema del Pnrr. Era chiaro dall’inizio che gran parte della spesa sarebbe arrivata a partire da quest’anno, perché prima andavano pensati e sviluppati i progetti, bandite le gare d’appalto, aperti i cantieri. Almeno altri tre problemi oggi sono più urgenti, se l’Italia vuole sperare che il suo più grande programma d’investimenti dal dopoguerra non vada essenzialmente sprecato.

Il primo riguarda il merito di alcuni dei piani originari, quelli che il governo di Mario Draghi mandò a Bruxelles nella primavera del 2021. Anche se ora lo si dimentica, quel progetto non nacque in condizioni normali. Dal giorno del giuramento, Draghi e i suoi ebbero non più di un mese per rivedere e riscrivere tutto prima di spedire il loro documento a Bruxelles. Inevitabile dunque che alcune delle incoerenze di oggi riflettano la fretta di allora. Gli stadi di Firenze e Venezia non hanno niente a che fare con la logica del Recovery ed è comprensibile che l’attuale governo si chieda perché la Commissione non abbia mai sollevato il problema prima, mentre lo fa ora. La sperimentazione del trasporto su gomma all’idrogeno non sembra praticabile. I trattori o treni all’idrogeno, non ne parliamo. Anche i campi eolici off-shore nel Mediterraneo sono idee audaci, non progetti realizzabili a costi competitivi.

Dunque il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto ha ragione, quando dice che vuole tagliare alcuni piani e sostituirli con altri. Il punto è attuare questo disegno in pratica e questo è il secondo problema: a quanto pare, la Commissione europea non avverte (ancora) molta concretezza da parte italiana nell’indicare nuove direzioni di marcia e nel farle vivere nella realtà. Il governo ha ancora un mese per riscrivere alcune parti del Pnrr, dunque è presto per i processi alle intenzioni. Come fa la Casa Bianca con l’Inflation Reduction Act, l’innovazione digitale e la transizione energetica potrebbero essere affidata in buona parte delle imprese sul mercato tramite ampi crediti d’imposta sugli investimenti, finanziati dai fondi del Pnrr.

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Quel miraggio presidenziale che non funziona ma piace all’Italia

giovedì, Marzo 30th, 2023

LUCIA ANNUNZIATA

Avviso ai naviganti appassionati delle riforme costituzionali: il modello presidenzialista tanto ammirato da molti governanti, incluso gli italiani, per la sua capacità di fornire alla democrazia in crisi (troppo lenta, troppo inconcludente) il vigore di un centro decisionale più chiaro, pare non funzioni. È in crisi infatti lungo una delle linee più importanti dell’Occidente: quella che va dagli Usa, passa per Parigi, e si chiude sul lato orientale del mediterraneo, a Gerusalemme.

In Usa Trump ha cavalcato nel suo primo mandato un rafforzamento della Presidenza in senso personalizzato e divisivo. Presidenza rafforzata, per pratica di governo e prese di posizione ideologiche, fino al rifiuto di accettare la sconfitta della sua rielezione, denunciandone «il furto». Affermazioni, le sue, che hanno contribuito all’organizzazione di un assalto alle istituzioni, il 6 gennaio del 2021. Azione eversiva, che, in altri paesi (ad esempio poche migliaia di chilometri giù nel Sud del continente) si sarebbe chiamata tentativo di golpe.

Nel sistema politico Usa, che si definisce per una visione bipartisan ed etica di sé stesso, il dubbio sulla correttezza del voto è una messa in discussione della reputazione (dunque della stabilità e della sicurezza) della nazione.

Emmanuel Macron, in crisi di autorevolezza (pessimi sondaggi) e spazi di agibilità politica, dopo il vanificarsi del suo partito, e la radicalizzazione delle forze di Melechon e di Le Pen, ha invece abbracciato la vecchia tentazione bonapartista che si nasconde sempre nelle pieghe del sistema francese. Ha imposto una riforma, quella delle pensioni, non amata dagli elettori, e soprattutto senza maggioranza neanche in Parlamento. L’articolo 49. 3 usato per far passare la riforma prevede che il governo abbia la possibilità di adottare direttamente una legge, «dopo la deliberazione del consiglio dei Ministri», assumendosi «la responsabilità di governo davanti all’Assemblea Nazionale». Facendo ricorso a una regola che permette al Presidente di far passare a maggioranza semplice un provvedimento. Mossa legale, che però apre la strada a una gestione presidenziale che si svincola dai lacci e lacciuoli del Parlamento.

Infine Israele. Benjamin «Bibi» Netanyahu leader del Likud, eletto primo ministro il 29 dicembre 2022, con alle spalle molti anni nello stesso ruolo – dal 1996 al 1999, e dal 2009 al 2021– si è fatto invece tentare da una ambizione per certi versi persino più forte di quella dei presidenti di cui abbiamo appena parlato. Netanyahu, eletto in una delle ore più difficili della sua nazione, a capo di una coalizione fragile e molto radicalizzata a destra, ha abbracciato l’idea di consolidare le istituzioni restringendo il potere della Corte Suprema, che nel sistema parlamentare (per certi versi molto simile all’Italia), funziona come il più rilevante potere riequilibrante del parlamento e del vertice governativo. Una mossa definita dall’opposizione «un golpe senza carriarmati». Val la pena spiegare – anche se ci si arriva da soli – che le modifiche ai poteri della Corte costituzionale porterebbero al rafforzamento di quelli del Premier, con l’aggiunta di un bonus personale: la cancellazione delle pendenze del Premier stesso con la giustizia.

Tre esempi chiari, inquadrabili per altro (con più dubbi per le azioni di Trump) nel framework istituzionale dei tre paesi. Eppure sono tutti e tre miseramente falliti. Producendo massicce, e soprattutto inedite, scosse in tre società fra le più stabili e le più affluenti del mondo.

*****

La grandezza delle reazioni è facilmente misurabile a occhio nudo. L’importanza del ruolo di Trump, con la mobilitazione permanente che lo segue, continua a segnare la politica Usa. La forza e l’ampiezza delle manifestazioni nelle strade delle città francesi e in quelle di Israele, non si vedevano da decenni in Occidente.

Ma è l’aggettivo «Inedite» a catturare la novità di questi processi.

Trump in Usa ha dato voce a una classe media bianca, radicalizzata nelle sue opinioni, come nel suo ruolo sociale. Una rivolta di nuovi «emarginati», esclusi da un processo politico e un panorama economico che sta cercando e trovando un nuovo assetto. È la classe media bianca, di operai scontenti, famiglie intimorite dall’infiltrarsi nel mondo dell’educazione delle nuove politiche di «genere», di famiglia, di nuove priorità culturali e sociali. Motivazioni che si traducono immediatamente in scontro politico fra democratici e conservatori, in un revanchismo profondamente nutrito dal senso di ingiustizie subite da una «sistema», che è quello Americano, ma senza più il Sogno né sogni.

Un mix profondamente efficace, molto vicino alla narrazione del profilo del nuovo mondo, che sta uscendo dalla distruzione delle vecchie classi e dai vecchi poteri. Un discorso molto simile a quello che motiva oggi il nuovo governo italiano di Meloni.

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Il mondo in ansia per l’infezione respiratoria del Papa: “Notte tranquilla al Gemelli”. Oggi previsti altri esami

giovedì, Marzo 30th, 2023

A CURA DELLA REDAZIONE

ROMA. Papa Francesco «ha trascorso una notte tranquilla al Policlinico Gemelli», dov’è ricoverato da ieri in seguito a un malore dopo l’udienza generale in piazza San Pietro e a un’infezione respiratoria. Ma il mondo è in ansia, soprattutto per le conseguenze di questa infezione sul cuore appesantito. Una notte «liscia come l’olio», ha commentato una fonte vicina al Vaticano. I medici sono prudenti ma ottimisti al momento, se non sorgeranno ovviamente complicazioni. Ancora nessuna comunicazione ufficiale, ovviamente, sulla presenza del Papa per le celebrazioni della prossima domenica delle Palme. Oggi in ospedale proseguono i controlli. Francesco è tenuto costantemente monitorato.

Con il Pontefice c’è Massimiliano Strappetti, 54 anni, infermiere talmente vicino e ascoltato da Bergoglio da essere stato proprio lui a convincerlo a sottoporsi all’operazione al colon tre anni fa. Oggi, comunque, una giornata di completa degenza è del tutto scontata. 

“Disturbo da non sottovalutare ma presto tornerà come prima”

PAOLO RUSSO 29 Marzo 2023

Moltissimi i messaggi e le preghiere, da ovunque. Francesco ha avuto un malore ieri mattina nella sua residenza di Santa Marta ed è stato trasportato in ambulanza al Policlinico.«Nei giorni scorsi – ha rivelato in serata una nota della Sala Stampa della Santa Sede – ha lamentato alcune difficoltà respiratorie». L’esito dei primi controlli «ha evidenziato un’infezione respiratoria che richiederà alcuni giorni di opportuna terapia medica ospedaliera». Escluso il Covid, l’infezione pesa però sul cuore, ed è ciò che maggiormente allarma, considerata anche l’età del Pontefice. Jorge Mario Bergoglio è costantemente tenuto sotto controllo per misurare la saturazione dell’ossigeno e il ph del sangue, parametri clinici importantissimi nelle sue attuali condizioni.

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