L’attacco del governo ai poteri neutri dello Stato

MASSIMO GIANNINI

«Pregiudizio non informato» è una formula destinata a passare mestamente alla Storia. Il governo Meloni l’ha usata per respingere puntigliosamente e polemicamente le osservazioni di un portavoce della Commissione europea, colpevole di aver sollevato dubbi totalmente condivisibili sulla scelta di sottrarre alla Corte dei conti il controllo degli atti del Piano italiano di Ripresa e Resilienza. Noi, fino ad ora, eravamo abituati al “consenso informato”, che in medicina regola il rapporto tra medico e paziente e in politica dovrebbe ispirare la leale collaborazione tra le istituzioni. Ora la neo-lingua italiana dei Patrioti liberi e irresponsabili ci propina invece questo “pregiudizio disinformato”, in nome del quale si liquida qualunque organo terzo che osi sollevare dubbi scomodi, formulare critiche fastidiose, suggerire soluzioni sgradite. Teniamolo a mente, per capire il piano inclinato su cui rischia di scivolare la nostra democrazia (il)liberale.

Era dai tempi dei governi Berlusconi e Renzi che Palazzo Chigi non rispondeva con una nota ufficiale così aspra e così lunga a un semplice funzionario di Bruxelles. Un cannone che spara a un passerotto: c’è da chiedersi il perché di tanto arrogante autolesionismo. I manganelli della destra mediatica colpiscono compatti, debitamente ispirati dai rispettivi danti causa di Palazzo: ribelliamoci – gridano – perché è già partita la campagna elettorale per le europee 2024, e le nomenklature comunitarie vogliono affogare nella stessa tinozza del disonore l’Italia di Giorgia, l’Ungheria di Orban e tutti i satelliti di Visegrad. È la solita sindrome del complotto, verrebbe da dire. Certo, quella non manca mai, quando si ha a che fare con gli underdog allevati tra la “meglio gioventù” del Movimento sociale italiano.

Ma ho il sospetto che qui ci sia di più. È difficile accreditare l’dea che l’Europa già tornata Matrigna stia muovendo le sue truppe cammellate contro le Sorelle e i Fratelli d’Italia, solo perché un portavoce di Palais Berlaymont ha detto l’ovvio. Cioè quello che da giorni ribadiscono tutti gli osservatori e interlocutori istituzionali chiamati a giudicare lo stato di attuazione del Pnrr italiano. Siamo in ritardo. Lo dice il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, che aggiunge “non c’è tempo da perdere”, perché il Piano è “uno snodo cruciale” per agevolare la trasformazione della nostra economia e rappresenta “un raro tentativo di definire una visione strategica per il Paese”. Lo ribadisce il commissario Ue Paolo Gentiloni, che al Festival dell’Economia di Torino conferma tuttavia l’assoluta disponibilità della Commissione a concordare insieme al governo italiano le eventuali modifiche, purché si faccia in fretta, perché c’è il rischio di far slittare la terza rata di fondi all’autunno, e di perdere la quarta entro fine anno.

Perché siamo in ritardo? Ci sono ovviamente problemi strutturali, che riguardano i mali atavici del Burosauro tricolore: gli enti locali hanno scarsa capacità progettuale, i general contractor per quanto si sforzino non tirano fondi a sufficienza, la macchina amministrativa ha ingranaggi lenti, farraginosi, arrugginiti. Ma ci sono sicuramente problemi politici, che dipendono dalle scelte del governo: il trasferimento delle competenze all’unità di missione di Palazzo Chigi deciso da Meloni ha deresponsabilizzato la catena di comando, e in affanno com’è non ha impresso alle procedure attuative l’accelerazione sperata.

Ma adesso non è facendo fuori la Corte dei conti che riusciremo a recuperare il tempo perduto. E anche questo lo sostengono più o meno tutti (a parte qualche costituzionalista di complemento, folgorato sulla Via della Garbatella). Non è impedendo alla magistratura contabile di fare il suo lavoro che sveltiremo le pratiche e sbloccheremo i bandi di gara. Intanto, come chiarisce lo stesso Gentiloni, perché alla trasparenza degli atti devono sovrintendere le autorità italiane, e non certo quelle europee. E poi, come avverte oggi il Procuratore Nazionale Antimafia Giovanni Melillo nell’intervista concessa a Donatella Stasio per La Stampa, perché sull’altare della velocità non si può sacrificare la legalità. Di tutto questo sarebbe stato bello poter ragionare con Raffaele Fitto, che proprio ieri era atteso a Palazzo Carignano, per un dibattito pubblico all’interno dello stesso Festival dell’Economia. Purtroppo – a conferma della palese idiosincrasia degli esponenti di questo esecutivo al confronto con qualunque “agorà” diversa dagli studi del Tg1 o dai salotti di Porta a Porta – il ministro competente ha declinato l’invito all’ultimo momento. “Importanti impegni sopravvenuti”, recita la mail della sua segreteria. Forse un convegno sulla figura di Venner patrocinato dal noto “Istituto Iliade”? O magari una tavola rotonda su De Benoist organizzato da “Nazione Futura”? Chissà.

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