Apartheid oncologica, dai mutui alle assicurazioni anche da guariti il cancro può restare un incubo

PAOLO RUSSO

ROMA. «Avevo già avuto il cancro prima di questo. A un polmone. Tossivo. Feci un controllo. Lo riconobbero subito, era a uno stadio iniziale. Però ero in campagna elettorale, quella volta non potei dire che ero malata, gli avversari mi avrebbero accusata di speculare sul dolore». Così, dopo aver squarciato con coraggio il velo sul male di oggi, per sua stessa ammissione incurabile, la scrittrice Michela Murgia racconta che il tumore può essere fonte di discriminazione.

Come quella subita da Laura. Sono passati vent’anni da quando le fu diagnosticato un tumore al seno, curato in cinque. «Faccio la ballerina da sempre e qualche tempo fa ho deciso di lasciare il mio lavoro in ufficio per aprire una scuola da ballo». Ma subito arrivano gli intoppi. «Prendo un appuntamento in banca dove però mi chiedono delle mie condizioni di salute passate e presenti e a quel punto l’impiegato mi anticipa che un mutuo a lungo termine non mi sarebbe stato concesso. È come se fossi tornata ai tempi della malattia ma a 15 anni dalla guarigione». Storie di ordinaria ingiustizia, una delle tante che subiscono il milione e passa di italiani che per la medicina sono a tutti gli effetti guariti dal cancro, tanto da avere un’aspettativa di vita uguale agli altri, ma che si vedono negare il proprio diritto all’oblio di una malattia che non c’è più. E questo non solo davanti alla richiesta di un mutuo, ma anche in un colloquio di lavoro o al momento di stipulare un’assicurazione, senza per questo vedersi presentare polizze da capogiro. Ingiustizie che si perpetuano persino di fronte a una richiesta di adozione, per realizzare il sogno di un figlio che a volte la malattia non consente di avere.

Proprio pochi giorni fa il premier spagnolo, Pedro Sanchez, ha annunciato che entro giugno il suo governo varerà una legge sul cosiddetto «oblio oncologico». Un provvedimento che abolisce l’obbligo di dichiarare di aver avuto un tumore al momento di stipulare un contratto o di avanzare una richiesta di adozione. Un diritto già sancito per legge in altri Paesi europei. In Francia già dal 2016 e dopo solo 5 anni di assenza di recidive, in Olanda, Belgio, Lussemburgo, Portogallo e Romania, prima del passo avanti spagnolo, banche e compagnie assicurative, così come i datori di lavoro, non possono infatti richiedere informazioni sulle patologie pregresse, quando è trascorso un lasso di tempo che varia dai 5 ai 10 anni dall’inizio delle cure. Leggi di civiltà che una risoluzione votata a febbraio del 2022 dall’Europarlamento raccomanda a tutti gli Stati membri di adottare.

Un’analoga raccomandazione la contiene anche il nostro Piano nazionale oncologico, approvato appena il mese scorso, mentre in Parlamento giacciono disegni di legge «bipartisan» dove è stabilito che «non possono essere richieste al consumatore informazioni sullo stato di salute relative a patologie oncologiche pregresse quando siano trascorsi 10 anni dal trattamento attivo in assenza di recidive o ricadute della malattia, ovvero 5 anni se la malattia è insorta prima del 21° anno di età». Un altro articolo va invece a modificare la legge «184» del 1983 sulle adozioni, inserendo gli stessi limiti temporali di 10 e 5 anni, passati i quali gli ex malati oncologici non possono più essere in alcun modo discriminati.

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