Questa nostra Costituzione, strumento di progresso e trasformazione

Non c’è bisogno di marce su Roma o di analoghe simbologie per temere, e respingere con forza, ogni rigurgito di cultura fascista, che piega disinvoltamente i valori della nostra Costituzione; nega i diritti di minoranze e persone vulnerabili; impone visioni ideologiche, senza bilanciamenti; ostenta pregiudizi antisemiti; coltiva idee securitarie; mette a rischio cardini dello stato di diritto come l’indipendenza dei giudici. La Costituzione è nostra nella misura in cui tutti ci riconosciamo nella sua cultura antifascista senza timidezze, ipocrisie, furbizie.

Nel 1947 Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea costituente, firma la Costituzione vicino al presidente della Repubblica Enrico De Nicola 

Indimenticabili le parole con cui Calamandrei incitava le giovani generazioni a esercitare la memoria per trasformare la Costituzione in realtà politica: «Se volete sapere dove è nata la Costituzione andate in pellegrinaggio col pensiero riconoscente in tutti i luoghi, di lotta e di dolore, dove i fratelli sono caduti per restituire a tutti i cittadini italiani dignità e libertà. Nelle montagne della guerra partigiana, nelle carceri dove furono torturati, nei campi di concentramento dove furono impiccati, nei deserti o nelle steppe dove caddero combattendo, ovunque un italiano ha sofferto e versato il suo sangue per colpa del fascismo, lì è nata la nostra Costituzione». Non c’è retorica in queste parole, come talvolta si dice, ma autentica passione costituzionale che chiama ad un impegno attivo.

Nel 1956 qualcosa comincia a cambiare nell’immobilismo costituzionale. Il primo, decisivo, passo è la nascita in carne ed ossa della Corte costituzionale, la prima dell’Occidente. Su La Stampa Calamandrei scrive: «Soltanto ora si comincia a sentire che la Costituzione non crollerà». Le sue aspettative sono alte. Alla Corte chiede di cancellare anzitutto le leggi fasciste rimaste in piedi per dieci anni, a cominciare dal famigerato articolo 113 del Testo unico di Pubblica sicurezza, che vietava di far circolare, senza autorizzazione, scritti o disegni, in palese violazione della libertà di manifestazione del pensiero sancita dalla nostra Costituzione. Nella prima udienza della Corte, Calamandrei sosterrà l’incostituzionalità della norma fascista, mentre la presidenza del Consiglio la difenderà.

Il 13 giugno, ecco la sentenza, la numero 1. La prima di una lunga serie di decisioni che hanno cambiato la vita di tutti noi e la qualità della nostra democrazia. La Corte dà ragione a Calamandrei e asfalta, di fatto, la legislazione fascista. Il 16 giugno, La Stampa apre il giornale con un fondo intitolato La Costituzione si è mossa. È pieno di speranza per il futuro.«Oggi la Corte ha fatto saltare solo la prima pietra, ma altre ne seguiranno. Si può dire senza enfasi che da questa sentenza comincia una nuova storia», scrive Calamandrei.

Grazie alla Corte i cittadini possono finalmente cominciare ad affezionarsi alla loro Costituzione, sentirla viva, accorgersi che ogni suo articolo non è una formula teorica, ma può diventare senza scosse la realtà di domani; possono rendersi conto dei vantaggi di un regime veramente democratico, che offre al popolo lo strumento legalitario per rinnovare gradualmente la società senza sovvertirla e senza rinunciare alla libertà. Come la Corte Suprema degli Stati Uniti, anche la nostra Corte «sarà uno strumento di progresso e di trasformazione sociale secondo il programma della Costituzione». Calamandrei ne è certo. E aggiunge: quella sentenza è anche la rappresentazione plastica dei limiti dei governi e della funzione contromaggioritaria di ogni Corte costituzionale; dimostra che «in un regime di Costituzione rigida e programmatica, né il Governo né lo stesso Parlamento sono onnipotenti». Non a caso l’attacco alle alte Corti è tipico di governi, “democraticamente” eletti, artefici delle regressioni democratiche in atto nel mondo (Polonia, Ungheria, Israele ecc).

L’articolo si chiude così: «Sulle tombe dei morti della Resistenza, questa sentenza, nella sua semplice austerità, è più significativa e più commovente di una corona di fiori». Aveva ragione. Quella sentenza ci ha liberato dalla legislazione fascista ma ha aperto una strada su cui tutti, istituzioni e cittadini, avremmo dovuto muoverci per costruire una compiuta democrazia costituzionale. Forse non lo abbiamo fatto abbastanza e allora ecco il senso del 25 aprile: rimetterci in cammino, possibilmente insieme, per dare attuazione alla nostra Costituzione e corpo alla sua cultura antifascista.

LA STAMPA

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