Tra movimentismo e responsabilità, così Elly Schlein costruisce il nuovo Pd

FRANCESCA SCHIANCHI

L’aveva promesso, eccola qua. Alla vigilia di Pasqua, il giorno della presentazione della segreteria via Instagram – molte facce nuove, fin troppe a giudicare dalla sorpresa di mezzo partito –, prima di prendersi qualche (criticatissimo) giorno di pausa, la segretaria del Pd Elly Schlein aveva annunciato una futura conferenza stampa. Troppi borbottii, nel partito e fuori, sui suoi tempi di decisione – quasi un mese per comporre la squadra -, troppe illazioni sui suoi silenzi. Dieci anni fa, come ieri, il tradimento dei 101 di Prodi fu l’inizio della sua parabola: ora appuntamento alla sede del Nazareno, alle spalle le bandiere del Pd, ucraina e arcobaleno – c’erano già quando era leader Letta, assicurano dal quartier generale, con lei di là dalla scrivania si notano di più.

Nelle ultime settimane è cresciuta la tensione con il Movimento cinque stelle sul termovalorizzatore di Roma, il Terzo polo è esploso, la maggioranza ha offerto qualche altra occasione di polemica, buonista e antifascista, dicono a destra; ottima per rimarcare una distanza, vista dal Pd. Di molti argomenti, Schlein non aveva ancora parlato, su parecchi temi controversi era attesa al varco dal suo stesso partito: chi è veramente? Cosa farà, continuano a domandarsi dalle fila di un Pd che, a quasi due mesi dalla scelta dei gazebo, in gran parte ancora si chiede chi lo stia guidando. Lei lo sa, e il primo messaggio che manda è lo stesso che pronunciò occhi negli occhi con la premier, un mese fa in Aula alla Camera: «Lei è al governo, ci sono io all’opposizione».

Vuole essere lei, vuole essere il suo Pd la vera alternativa alla destra, nel dare della «bugiarda» a Giorgia Meloni sulla protezione speciale («sono 18 i Paesi che hanno questa forma di protezione»), nella scelta della riunione della prima segreteria a Riano, là dove fu trovato il cadavere di Giacomo Matteotti, alla vigilia del 25 aprile e mentre dalla maggioranza ancora si glissa sull’argomento, nelle critiche alle nomine fatte dal governo e al decreto Cutro – «portano l’Ungheria in Italia». Inflessibile eppure disponibile a parlare con la premier di Pnrr «per il bene del Paese»: vuole essere l’anti-Meloni e si vede – e non è certo solo una trita questione di giovane leadership femminile. «Si fa trovare là dove bisogna stare per essere l’opposto di questa destra», valuta un vecchio dirigente dem superando la naturale ritrosia davanti all’eccentricità della figura di Elly Schlein. Per ora funziona e mette la sordina a qualunque tensione: il partito è dato dai sondaggi al 21 per cento in costante aumento, quando nemmeno tre mesi fa galleggiava sei o sette punti più in basso.

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